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I PRODOTTI PREFERITI DAGLI ITALIANI? SONO I “PRIVATE LABEL”, CON L’AGROALIMENTARE IN TESTA, ACQUISTATI NEL 2009 DAL 90% DEI CONSUMATORI, PER UNA QUOTA DI MERCATO CHE VALE IL 13,6%: UNA TENDENZA IN CRESCITA CHE ARRIVA DAL “MARCA” DI BOLOGNA

I prodotti di marca commerciale piacciono sempre più agli italiani: ogni dieci che nel 2009 hanno fatto la spesa, più di nove hanno comperato almeno un prodotto alimentare “private label”, cioé con il marchio del distributore. Non a caso, nel 2009, la quota di mercato di questo tipo di prodotti è passata dal 12,7% del 2008 al 13,6% (nel 2005 era l’11,8%). Ad incidere, in tempo di crisi, è soprattutto la convenienza: se 100 è l’indice medio dei prezzi dei mercati, quello medio “marca privata” è pari a 82. Ma non solo, perché il consumatore di marca privata è generalmente informato, istruito, con un buon reddito, vive al centro-nord ed è attento a temi come la sostenibilità dei processi di produzione. E’ la tendenza che emerge dal Rapporto dedicato ai “private label” e coordinato dal docente di marketing dell’Università degli Studi di Parma Guido Cristini, presentato a Marca, la fiera del settore di scena, fino al 21 gennaio, a Bologna (info: www.marca.bolognafiere.it).
Secondo il Rapporto, il settore genera un fatturato di circa 8 miliardi, tra iper e supermercati, discount, minimercati e superette (+10,4%). E nel 2009 prosegue il boom dei prodotti freschi (+13,1%, +22,4% nel 2008), ma, a piacere sempre di più è anche la drogheria alimentare (+12,7%, nel 2008 +15,9%). In particolare, i reparti più penetrati da questo tipo di prodotto sono il freddo (21,9%), il fresco (17,5%) e la cura della casa (17,5%).
Sono dunque lontani i tempi in cui i distributori relegavano alla “private label” il compito di concorrere solo sul primo prezzo: oggi ci sono anche prodotti “insegna” e “premium”, cresciuti nelle vendite del 29,9%. Se però i consumi sono in crescita, resta il gap rispetto ad altri Paesi europei a commercializzazione più evoluta. In Gran Bretagna e in Spagna, per esempio, la quota di mercato di questo tipo di prodotto è attorno al 30%, quasi il doppio rispetto a quella italiana. “Ciò è dovuto - spiega Cristini - alle caratteristiche della distribuzione italiana, dove il prodotto a marchio industriale è sempre fortissimo”. Ma anche a strategie dei distributori: secondo il Rapporto, infatti, si assiste sempre più ad una polarizzazione tra chi preferisce restare distributore di prodotti (per cui la “private label” naviga su quote di fatturato attorno al 5%) e chi invece, investendo su identità dell’insegna, sviluppo di sottomarchi per conquistare nuovi segmenti, ingresso in categorie innovative soggette a domande crescenti (come per esempio il parafarmaco) e attenzione al packaging, ha ottenuto risultati, portando la marca commerciale attorno al 30% del fatturato.

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