
Polifenoli, niacina e resveratrolo: non sono solo nomi da etichetta, ma composti naturali presenti soprattutto in birra e vino rosso che potrebbero avere un ruolo chiave nella salute del cervello. Secondo uno studio su larga scala condotto in Corea del Sud, questi elementi contribuiscono a ridurre l’infiammazione e a supportare i meccanismi di pulizia cerebrale, come il sistema linfatico, suggerendo un possibile effetto neuroprotettivo. E proprio da qui nasce una scoperta sorprendente: il consumo moderato di alcol potrebbe ridurre il rischio di morte nei pazienti affetti da morbo di Parkinson. La ricerca, intitolata “Association between alcohol consumption and mortality in Parkinson’s disease” - “Associazione tra consumo di alcol e tasso di mortalità nel morbo di Parkinson”, firmata dai ricercatori You Hyun Park, Yong Wook Kim, Dae Ryong Kang e Seo Yeon Yoon, e recentemente pubblicata sul “Journal of Neural Transmission”, ha analizzato i dati di oltre 32.000 pazienti diagnosticati tra il 2009 e il 2017. I risultati sono chiari: chi beve con moderazione vive più a lungo rispetto ai non bevitori.
I numeri parlano chiaro - afferma la ricerca - i bevitori moderati hanno mostrato un rischio di mortalità inferiore del 31%, mentre quelli leggeri del 22%. Anche chi ha continuato a bere dopo la diagnosi ha avuto una sopravvivenza migliore, mentre chi ha smesso di bere ha registrato una mortalità più alta, forse a causa del cosiddetto “effetto sick-quitter”, ovvero l’interruzione del consumo per motivi di salute.
Lo studio riflette il classico andamento a curva “J” già noto nell’epidemiologia dell’alcol, dove un consumo moderato è associato ai maggiori benefici in termini di longevità. Tuttavia, gli autori invitano alla cautela: i dati si basano su dichiarazioni spontanee e non distinguono tra tipi di bevande, anche se in Corea del Sud il consumo è dominato da birra e soju, una bevanda alcolica originaria della Corea ottenuta dalla distillazione di riso, frumento e orzo. Tuttavia, il consumo moderato di alcol non sembra dannoso per i pazienti con Parkinson e potrebbe persino offrire benefici, almeno secondo lo studio.
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