Anche per le aziende cibo e del vino made in Italy, espressioni di un segmento storicamente anticiclico dell’economia, non è un momento facile. Ma il futuro è aperto e con concrete possibilità di crescita, a patto di puntare sull’alto di gamma nei mercati del mondo. Come deve fare il made in Italy tutto, e come farà anche nella sua nuova compagine societaria Eataly, la creatura di Oscar Farinetti, che, in quasi 20 anni di attività, ha dato un impulso importante alla distribuzione e all’immagine del wine & food italiano nel mondo, e che continuerà a farlo anche ora che la maggioranza passerà nelle mani di Industrial della famiglia Bonomi, con il 52% (ed un aumento di capitale di 200 milioni di euro, ndr). Come spiega a WineNews Nicola Farinetti, oggi ad e futuro presidente Eataly, che vedrà, comunque, la famiglia Farinetti nella compagine societaria (seppur in quota di minoranza, con un 48% diviso tra la Eatinvest degli stessi Farinetti, la famiglia Baffigo-Miroglio e Clubitaly, attraverso Tamburi Investment Partners, ndr).
“Anche per il made in Italy non è un momento semplice - ha detto Nicola Farinetti a WineNews, da Terra Madre Salone del Gusto di Torino by Slow Food - anche perchè è difficile fare previsioni. Se prima si lavorava anche su progetti di medio lungo periodo, oggi si ragiona anche in termini di settimane e mesi, perchè è molto difficile calcolare i costi, ed è molto difficile capire cosa succede sui mercati. Ma c’è una grande certezza: il mercato si sta sviluppando molto sull’alto di gamma e molto sul basso, mentre la fascia di mezzo sta iniziando a fare fatica. È chiaro che un mondo ricco c’è, esiste ancora, e c’è un mondo di persone che hanno capito, anche dopo la pandemia e con la guerra, che se uno ha delle passioni deve investire soldi su queste passioni. E, quindi, il lavoro che cerchiamo di fare, e che, secondo noi, deve continuare a fare il prodotto italiano tutto, è continuare a salire di livello e a posizionarsi più in alto, perchè quel mercato c’è in tutto il mondo e dobbiamo conquistarlo”.
Ed è un trend che riguarda tutto il comparto alimentare, anche se il vino, come accade da anni, svetta”. “I settori funzionano tutti bene - conferma Nicola Farinetti - ma il vino fa meglio di tutti, lo vediamo da vent’anni. C’è stato un aumento di prezzo medio importante, peraltro, non corrisposto ad una diminuzione dei volumi, anzi: le bottiglie vendute nel mondo aumentano, i brand conosciuti nel mondo aumentano, ed io scommetterei molto sul vino italiano, che crescerà ancora tantissimo nei prossimi anni. Due terzi del mondo ancora non bevono, tra religione e usanze culturali. Ma, tra 20 o 30 anni, sono sicuro che si berrà vino anche dove oggi non accade. E l’Italia e la Francia saranno ad un livello diverso da tutti gli altri, e potremo posizionarci molto in alto”.
Cosa che cercherà di fare anche Eataly, ormai presente in 17 Paesi del mondo, con 44 store (ed un fatturato stimato, a fine 2022, di 600 milioni di euro), che al cambiamento di governance “abbina” la conferma degli obiettivi storici
“Vogliamo accelerare con lo sviluppo - sottolinea Nicola Farinetti - riteniamo che questo sia il momento di crescere, di aprire negozi, di portare i prodotti italiani all’estero. Perchè riteniamo che, nel giro di 2 anni, probabilmente, le economie cambieranno, e se in questo lasso di tempo tu cresci e ti fai spalle più larghe, ti troverai in posizione di vantaggio. Per poter fare questo con i nostri valori pensiamo che questa azienda, Eataly, debba essere 100% italiana, e quindi volevamo comprare le quote di minoranza che avevamo in America, dove avevamo il 60% di Eataly America, mentre il 40% era in mano a soci che sono e restano anche grandi amici. Abbiamo immaginato questo progetto, ne abbiamo parlato (con Investindustrial, ndr), e, quando ti trovi d’accordo sui valori e sulla linea, poi le cose si fanno. In 2-3 mesi ci siamo innamorati e poi sposati”.
Un’azione che, in qualche modo, forse allontana, ma non cancella del tutto, l’idea di una quotazione in Borsa. “Il futuro della quotazione è sempre lì, non è che questo cambiamento spegne obbligatoriamente questa possibilità. Ora, però, non siamo concentrati - dice ancora Nicola Farinetti - su questo, ma a far crescere l’azienda. Poi, nei prossimi anni, vedremo. Resto dell’idea che un giorno avere Eataly come marchio di grande distribuzione italiana in giro per il mondo, quotato, è una cosa che mi piacerebbe. Ma vedremo se sarà una strada percorribile o meno”. E se a Farinetti si chiede se c’è un obiettivo numerico da raggiungere nel mondo, come aperture, l’ad e futuro presidente di Eataly risponde: “avevamo un obiettivo filosofico che era aprire un Eataly in ogni capitale del mondo, ma ovviamente ci vorrà tempo. Quello più pragmatico, oggi, è fare un buon sviluppo, in Europa, ma soprattutto nel Nord America, dove in questo momento l’economia è migliore ed è tutto più semplice. Anche con la creazione di un format più piccolo, che permetta di arrivare anche in città più piccole. Perchè l’obiettivo è portare il cibo ed il vino italiano a più persone possibile, e quindi non si può andare solo a New York o a Los Angeles. Quindi un numero non so dirlo, 50, 100? Vediamo. Vediamo come va il mondo. Noi abbiamo tanta voglia di crescere, ed una compagine unita, che può farcela”.
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