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Il made in Italy e l’Italian made, due facce della stessa medaglia, se viste da punti di vista diversi: il punto di vista di produttori, industriali e gdo alla tavola rotonda di scena al padiglione “Cibus è Italia - Federalimentare” dell’Expo

I prodotti alimentari “made in Italy” devono essere prodotti interamente in Italia, dal campo allo scaffale? O è possibile definire prodotto italiano anche quello che utilizza materie prime estere? Problema annoso, di cui si è parlato oggi in Expo, nel Padiglione “Cibus è Italia - Federalimentare” (www.cibusexpo2015.it), nella tavola rotonda “Made in Italy o Italian Made? Idee e Sfide per il futuro Agroalimentare Italiano”, organizzata dal periodico “GdoWeek”, in collaborazione con Fiere di Parma.
La questione, resa ancor più attuale dal cospicuo aumento dell’export alimentare italiano, è stata dibattuta da produttori agricoli, industriali alimentari e catene distributive. Per Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti, i consumatori chiedono la massima trasparenza e tracciabilità: “senza giocare sulle parole, la consultazione pubblica promossa dal Ministero delle Politiche Agricole che ha coinvolto 26.547 partecipanti sul sito del Ministero delle Politiche Agricole dal novembre 2014 a marzo 2015, ha chiarito inequivocabilmente che il 96,5% dei consumatori ritiene necessario che l’origine dei prodotti agricoli debba essere scritta in modo chiaro e leggibile nell’etichetta, dai formaggi ai salumi, dalle conserve di pomodoro ai succhi di frutta fino al latte a lunga conservazione. In un difficile momento di crisi bisogna portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e della verità per combattere la concorrenza sleale e rispondere alle reali esigenze dei consumatori”.
La domanda crescente nel mondo di cibo made in Italy indica che quanto già viene fatto da tempo, cioè qualificare con “made in Italy” il know how trasformativo dell’industria alimentare, debba essere riconosciuto senza ipocrisie.
Lo ha sostenuto Roberto Brazzale, presidente del Gruppo Brazzale (azienda lattiero-casearia che produce burro, quattro prodotti Dop e sei diversi marchi): “per riuscire a soddisfare la domanda complessiva di alimenti, composta dalla somma dei consumi interni più la quota destinata all’export, l’Italia deve necessariamente importare materie prime da trasformare, ovvero prodotti finiti già trasformati all’estero. La questione fondamentale, perciò, diventa: vogliamo che questo cibo sia prodotto all’estero e poi venduto in Italia, oppure vogliamo sempre più intercettare questo flusso, diventando sempre più protagonisti nell’imponente fabbisogno di produzione e trasformazione di alimenti per soddisfare la domanda interna e quella di export, potenzialmente illimitata?”. In conclusione per Brazzale non c’è alcuna contraddizione tra i concetti di made in Italy e Italian made: “sono assolutamente complementari e sinergici, e non ha alcun senso considerarli l’uno alternativo all’altro, anche perché l’unica alternativa all’import è la decrescita. L’alternativa più plausibile all’ Italian made, non è il made in Italy ma il “foreigners Made”“.
Per migliorare la comunicazione ai consumatori sulla produzione dei prodotti alimentari italiani, la catena distributiva “Consorzio Coralis” ha lanciato una “super-etichetta”, “Etichètto” , di cui ha parlato il presidente, Eleonora Graffione: “Etichètto è prima di tutto un programma etico, uno strumento per ridare trasparenza alle origini e alla lavorazione dei prodotti di cui ci nutriamo. Etichètto non sostituisce la marca del produttore, ma la integra, attestandone le qualità, i tracciati ed i percorsi. Non è una forma di marca privata del distributore, ma casomai si configura come una super label che fa della trasparenza e della garanzia etica i propri principali valori, esaltando, quando reali, le migliori caratteristiche dei produttori. E’ alleanza con tutte le parti: coltivatori, produttori, clienti”.
Per il Gruppo Petti, che produce passate di pomodoro, polpe, pelati e via dicendo, il prodotto made in Italy per potersi definire tale deve essere italiano dal campo allo scaffale, tanto che Petti ha affidato quote del Gruppo ai suoi produttori agricoli, come ha spiegato Pasquale Petti, amministratore delegato: “per il nostro progetto di marca utilizziamo solo pomodoro toscano lavorato a bassa temperatura; per questo abbiamo deciso di far entrare al nostro interno, con quote societarie, la parte agricola del processo produttivo, ovvero l’Asport (Associazione produttori ortofrutticoli toscani), per garantire ai consumatori finali oltre a qualità ed innovazione dei processi di trasformazione, anche la tracciabilità e la provenienza della materia prima. Utilizziamo solo pomodoro toscano lavorato a bassa temperatura, secondo la migliore tradizione conserviera italiana”.
Made in Italy o Italian made, comunque sia prodotto il made in Italy è importante che venga correttamente comunicato ai consumatori, ha sintetizzato alla fine della tavola rotonda il moderatore Cristina Lazzati, direttore GdoWeek: “l’obiettivo deve essere la massima trasparenza per il consumatore. Che sia made in Italy o Italian made il dichiarato deve corrispondere ai fatti è un impegno che le aziende del nostro Paese devono prendere per continuare ad esser credibili e per valorizzare l’Italia che decidono di vendere”.

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