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LO SCENARIO

Il mercato del vino in Usa? Da qui al 2027 diminuiranno i consumi in volume, a valori stabili

Le previsioni, riviste al ribasso, dell’Iwsr-International Wine & Spirits Research. I più penalizzati saranno i vini fermi di basso prezzo
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Mercato del vino in Usa: da qui al 2027 diminuiranno i consumi in volume, a valori stabili

Gli Stati Uniti sono il primo mercato mondiale del vino, e partner n. 1 del vino italiano, con i suoi 1,76 miliardi di euro nel 2023, nonostante un calo del -5,3% sul 2022. E se molti operatori e produttori sperano in una ripartenza nel 2024, le previsioni dell’Iwsr-International Wine & Spirits Research non regalano grande tranquillità, visto che si prevede un calo aggregata dei consumi del -2% all’anno, in volume, soprattutto a danno dei vini fermi (che valgono l’85% del mercato americano in quantità, previsti in calo del -3%), con la crescita di altri segmenti dalla base di partenza molto più piccola (spumanti, vini liquorosi e altri vini) che non compenserà le cose. E, nonostante un sentiment in miglioramento, secondo gli operatori, “la pressione economica sta spingendo molti consumatori statunitensi a rivalutare la propria spesa dando priorità ai beni essenziali, quindi il cambiamento positivo non si è tradotto in un aumento della spesa per il vino", afferma Marten Lodewijks, Director of Consulting - Americas Iwsr.
A pesare, anche il fattore demografico, perchè il numero dei consumatori abituali cresce in linea con la crescita complessiva della popolazione americana, che, però, beve con più moderazione, e, quindi, i consumi non crescono. E anche la premiumisation, che ha fatto crescere il valore complessivo nonostante volumi in calo, non basterà più, tanto che da qui al 2027, in termini di valore economico, la crescita prevista è pari a zero. E questo, spiega Iwsr, riflette il declino a lungo termine del vino che, allo scaffale in Usa, va a meno di 9,49 dollari a bottiglia, che vale il 62% dei volumi totali, e che calerà ancora fortemente nei prossimi anni, mentre a guadagnare saranno i vini premium e superiori (nelle fasce di prezzo tra i 15 ed i 49,99 dollari). Ma questo ultimo aumento non sarà, ancora una volta, di compensare le cose. Inoltre, la popolazione complessiva dei bevitori di vino. E tra la “Gen Z” in età legale per bere alcolici in Usa, solo il 7% è un “regular wine drinker”, contro il 36% dei Boomers, per esempio. E tra gli under 34, la percentuale è scesa dal 29% al 23% dal 2019 al 2023. Ed i celeberrimi Millenials, che sembrano in più coinvolti dalla categoria vino, guardano sempre di più alla moderazione, e la loro crescita non basta a sostituire il calo delle altre categorie. Nonostante tutto, però, quella dei Millenials è la categoria più propensa a consumare vino nel fuori casa, ed a spendere di più per qualche bottiglia. Tra questi, quelli che sono “regular wine drinker” bevono vino, nella maggior parte dei casi (57%), due o più giorni alla settimana (rispetto al 46% della media), e sono più avventurosi: il 73% afferma di provare regolarmente stili di vino nuovi o diversi, rispetto al 58% di tutti i “regular wine drinkers”. E, soprattutto i più giovani, guardano anche a formati alternativi, tanto che il 17% ha acquistato vino in lattina o in altri piccoli formati.
Un focus particolare, poi, lo meritano gli spumanti, che continuano ad avere una prospettiva di crescita, ma inferiore che in passato: dal +6% di crescita aggregata tra il 2017 ed il 2022, ora siamo al +1% fino al 2027. E, secondo l’Iwsr, gli spumanti provenienti dall’Italia, dagli Stati Uniti e da altri Paesi, stanno migrando sempre più verso un nuovo posizionamento in Usa e nel mondo, e al di là delle tradizionali occasioni celebrative, la categoria si sta legittimando sempre di più come alternativa al vino fermo ai pasti. Senza tralasciare la presenza degli spumanti nella mixology, soprattutto per l’aperitivo, che è in forte crescita un po’ ovunque. A mancare, però, è il recupero dei livelli pre-Covid, perchè i consumatori sono tornati anche con più frequenza di prima nei locali, ma spendono e consumano meno, secondo i dati Iwsr. E anche il cambiamento delle modalità di lavoro, sempre più da remoto, ovvero da casa, incide nei consumi, che, in buona parte, sono rimasti tra le mura domestiche anche dopo la pandemia.

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