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FOOD & NUMERI

Il settore food può crescere ancora nel 2025 e nel 2026, ma resta l’incognita dazi Usa per l’export

Il Food Industry Monitor by Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e Ceresio Investors: quest’anno prevista una nuova crescita (+4,6%)
CERESIO INVESTORS, FOOD INDUSTRY MONITOR, UNIVERSITÀ DI SCIENZE GASTRONOMICHE DI POLLENZO, Non Solo Vino
Il settore food italiano può crescere ancora: il Food Industry Monitor di Pollenzo

Una crescita solida del settore food, +5,9% nel 2024, con proiezioni positive anche per il 2025 (+4,6%) e il 2026 (+4,4%), trainate da consumi interni e investimenti industriali ma anche un export in forte espansione (nel 2025 previsto un +7,3%), un dato che (nonostante lo scenario incerto attuale, ndr) potrà essere trainato da comparti chiave come il vino (oltre 8 miliardi di euro di export) ma con l’incognita delle politiche doganali Usa, tra le altre, da tenere in considerazione. Ed ancora il ruolo da protagonista delle imprese familiari che rappresentano il 67% del settore e registrando performance superiori grazie a modelli di governance evoluti e leadership strategica condivisa. E’ la fotografia scattata dal Food Industry Monitor n. 11, l’Osservatorio sulle performance e sui modelli di business delle aziende italiane del food realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (ateneo fondato nel 2004 su iniziativa di Slow Food) e da Ceresio Investors.
L’Osservatorio analizza le performance storiche delle aziende del food dal 2009 al 2024 focalizzandosi sulle seguenti dimensioni: crescita, export, redditività, produttività e struttura finanziaria. Per ogni comparto vengono elaborate previsioni biennali (2025-2026) sulla crescita del fatturato e dell’export e sull’andamento della redditività. Il convegno, di scena a Pollenzo oggi 26 giugno, è stato introdotto e moderato da Silvia Sciorilli Borrelli, corrispondente del Financial Times per l’Italia. Sono intervenuti Nicola Perullo, Rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche; Gabriele Corte, Direttore generale di Banca del Ceresio Sa, Carmine Garzia, Responsabile scientifico dell’Osservatorio. Michele Fino ha moderato un dibattito dedicato al valore del “made in Italy” a cui ha partecipato Matteo Lunelli, Presidente e Ceo di Ferrari Trento e Guido Repetto, Presidente di Elah Dufour. Silvia Sciorilli Borrelli ha moderato la seconda sessione del dibattito dedicata agli strumenti finanziari per la crescita e l’internazionalizzazione a cui hanno preso parte Maria Luisa Miccolis, Head of Sales Pmi di Sace e Alessandro Santini, Head of Corporate & Investment Banking di Ceresio Investors. Le conclusioni del convegno sono state affidate, come da tradizione a Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e Presidente dell’Università di Scienze Gastronomiche.
Il Food Industry Monitor analizza le performance di un campione di oltre 860 aziende, con un fatturato aggregato di circa 87 miliardi di euro, attive in 15 comparti del settore food. Nel 2024, i ricavi del settore sono cresciuti del 5,9% confermando performance superiori rispetto all’economia italiana, con un Pil nazionale fermo sullo 0,7%. Il settore mostra buoni livelli di redditività commerciale con un Ros al 5,7% un Roic al 6,9%, valori positivi, anche se in lieve calo rispetto agli anni precedenti. La solidità finanziaria resta elevata con un indice di indebitamento pari ad 1,19 (mezzi di terzi su mezzi propri). Per il 2025, il settore food dovrebbe confermare, con un 4,6%, il trend positivo, seppure con tassi leggermente inferiori rispetto all’anno precedente. Per il 2026 si prevede una crescita dei ricavi del +4,4%. Il mercato interno dovrebbe tenere grazie alla positiva dinamica dell’occupazione, che dovrebbe stimolare i consumi e quindi la domanda di prodotti del settore food. La crescita dei salari resta una variabile fondamentale per un salto di qualità dei consumi interni. La positiva evoluzione degli investimenti industriali conferma come l’industria italiana, in particolare quella del food, stia rispondendo alla sfida della produttività. A livello di comparto, nel 2025 cresceranno significativamente farine (+9,9%), caffè (+6,9%), olio (+6,3%) e surgelati (+5,6%). L’export (in valore a prezzi correnti) del settore food, per i comparti analizzati dal Fim (con i relativi codici Ateco), registrerà una crescita del 7,3% nel 2025, leggermente inferiore rispetto al +8,2% del 2024. Le previsioni restano positive anche per il 2026, con un incremento stimato del 7%. L’export relativo ai comparti mappati dal Food Industry Monitor ha raggiunto i 47 miliardi di euro, di cui circa il 13% destinato agli Stati Uniti. Il vino, da solo, genera esportazioni per oltre 8 miliardi di euro, con circa il 30% del totale diretto verso gli Usa. Le esportazioni del comparto food (incluso il vino) sono cresciute del 5,5% nel 2024, in netta ripresa rispetto al -1,6% registrato nel 2023. Tuttavia, viene sottolineato, “è evidente che le politiche dell’amministrazione americana in materia di importazioni potrebbero avere effetti significativi sulle vendite negli Usa”.
Il Food Industry Monitor n. 11, è stato sviluppato un focus specifico sugli assetti istituzionali e sui modelli di governance adottati dalle imprese. Il settore food si conferma fortemente caratterizzato da una presenza di imprese familiari, che rappresentano il 67% del campione analizzato (870 aziende). Le analisi sono state condotte anche a livello di comparto. I comparti delle farine (95%), distillati (83%), olio (82%) e caffè (81%) superano l’80% di aziende a proprietà familiare. Anche in comparti caratterizzati dalla presenza di grandi players internazionali, come surgelati, birra e vino, le aziende familiari rimangono prevalenti, seppur con un’incidenza di poco superiore al 50%. La governance delle imprese varia in base alla natura proprietaria: nelle aziende familiari, il 75,8% è gestito tramite Consiglio di amministrazione, mentre il 24,2% è guidato da un amministratore unico. Nelle aziende non familiari la struttura è più formalizzata, con una netta prevalenza del Cda (93,6%) e una marginale presenza dell’amministratore unico (6,4%). Dal punto di vista della composizione di genere dei Cda si evidenzia come le aziende familiari presentino una quota di donne nei Cda del 24,7%, sensibilmente più alta rispetto al 10,1% rilevato nelle aziende non familiari. Il settore del food evidenzia una buona longevità delle imprese, infatti il 53,3% delle aziende familiari del campione è guidata da esponenti della terza generazione, mentre un ulteriore 36,8% ha superato la terza, solo il 9,9% delle aziende è guidata dalle prime due generazioni. I comparti con la prevalenza di aziende di prima e seconda generazione sono farina, pasta distillati e dolci mentre i comparti con le aziende più longeve, arrivate oltre la terza generazione, sono quelli di birra, olio, farine e acqua.
Dal punto di vista delle performance economiche, le aziende familiari si distinguono per risultati mediamente superiori alle non familiari. Il ritorno sul capitale investito (Roi) e il Return on Equity (Roe) sono sensibilmente superiori per le aziende familiari. In generale, per tutte le aziende, i modelli di governance evoluti determinano performance superiori. In particolare la presenza di una leadership collegiale, cioè una distribuzione delle deleghe tra più figure, migliora significativamente le performance, con effetti positivi sui principali indici di redditività. Ancora più rilevante è l’effetto positivo della presenza di amministratori che siano anche parte della compagine proprietaria: la presenza nei Cda di consiglieri-azionisti, spiega ancora la nota, infatti, porta a un miglioramento significativo del Roa. Nelle imprese familiari, la presenza di un presidente familiare, che esercita il ruolo di collegamento strategico tra famiglia e impresa, ha un’influenza rilevante sulle performance reddituali.
“Il 2024 - spiega Carmine Garzia, Professore di Management e responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Industry Monitor dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo - è stato un anno interlocutorio per settore del food, che è cresciuto a ritmi inferiori rispetto alle previsioni formulate ad inizio anno, allineandosi a quanto è stato riscontrato per il Pil. Le prospettive per il 2025 sono positive, ma andranno sicuramente riviste al ribasso in caso di attivazione dei dazi doganali e qualora l’evoluzione della guerra in Medio Oriente comportasse una contrazione significativa della produzione di petrolio e dei flussi turistici. Per questo l’evoluzione sui mercati internazionali va valutata con grande attenzione. In particolare, l’introduzione di dazi potrebbe comportare una drastica riduzione delle esportazioni. Occorre considerare che solo alcuni player italiani hanno strutture produttive negli Usa e potrebbero quindi preservare le proprie quote di mercato, ma questa non è un’opzione alla portata di tutte le aziende”. Per Alessandro Santini, Head of Corporate & Investment Banking di Ceresio Investors, “quanto sta accadendo a livello internazionale deve farci riflettere seriamente sull’opportunità per le imprese italiane di dare una forte accelerazione alle strategie d’internazionalizzazione investendo direttamente sui mercati in strutture produttive. Non dobbiamo vedere il “made in Italy” solo come un modello basato sull’esportazione di prodotti finiti, ma anche come l’esportazione di know-how di innovazione e produzione, che può essere messo a sistema direttamente nei mercati di destinazione. Le previsioni per il 2026 sono positive, ma potremmo essere costretti a confrontarci con i dazi Usa e le possibili contromisure che potrebbero essere approvate in mercati strategici per il Made in Italy, come quello cinese. La crescita esterna, per rafforzare la massa critica e la presenza all’estero, resta una delle opzioni più efficaci per sostenere le sfide dei mercati internazionali e non perdere i trend di crescita”.

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