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LA CURIOSITÀ

Il tappo a vite è una scelta stilistica del produttore, da raccontare bene al consumatore di vino

Tra opinioni e scienza, il messaggio del progetto de “Gli Svitati” Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Vigneti Massa
FRANZ HAAS, GRAZIANO PRA, JERMANN, POJER E SANDRI, TAPPI A VITE, VIGNETI MASSA, vino, Italia
Il tappo a vite è scelta stilistica del produttore, da raccontare al consumatore di vino

Il tappo a vite è una scelta stilistica del produttore, il lavoro ora deve concentrarsi sul corretto racconto al cliente finale. Tenendo conto che non è adatto solo ai vini da veloce rotazione, come si è sempre voluto sostenere, ma anche, secondo studi e degustazioni comparative, per i vini da lungo invecchiamento. Con i consumatori che sembrano sempre più aperti a questo tipo di chiusura, e anche il mondo della produzione, soprattutto guardando ai vini bianchi. Almeno, emerge dalla giornata a tema organizzata dai produttori de “Gli Svitati”, ovvero Franz Haas, Graziano Prà, Jermann (oggi di proprietà di Antinori, ndr), Pojer e Sandri e Vigneti Massa, che hanno chiamato a raccolta critici e ricercatori, riunendo, insieme a Guala Closures, leader mondiale per la produzione di tappo a vite nel mondo, nella sede operativa “Pentole Agnelli - since 1907”, a Bergamo, personalità come Oscar Mazzoleni (Maitre e Sommelier de Il Carroponte), Edgar Chaccha (Head Sommelier della Ciau del Tornavento), Matteo Montone (Master Sommelier e Group Wine Director di Maison Estelle), accanto a Giancarlo Gariglio (curatore della guida Slowine), ma anche ricercatori come Silvia Carlin e Fulvio Mattivi della Fondazione Mach, ed esperti di normativa vinicola come Michele Fino, docente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
“Dallo scorso anno ad oggi sono cambiate tante cose, la nostra rivoluzione si sta facendo sentire e siamo sempre più convinti che la scelta intrapresa sia quella giusta per i nostri vini”, commentano gli Svitati, che condividono però la necessità di un ragionamento più ampio sul tappo a vite a livello, in particolare per quanto riguarda l’educazione e il racconto di questo tipo di chiusura al cliente finale, con una netta differenza tra vini bianchi e vini rossi. “Il mondo dei bianchi è più sensibile e aperto verso l’utilizzo del tappo a vite, ora è il momento di concentrarci anche sui rossi. Abbiamo visto che la tappatura cambia l’invecchiamento del vino e in questo senso il tappo a vite è una scelta stilistica che va rispettate e raccontata al cliente nel modo giusto.” Accanto alle cinque aziende anche un “amico degli Svitati”, la cantina Ettore Germano di Serralunga d’Alba, tra le poche in Italia a produrre da alcuni anni un Barolo imbottigliato con tappo a vite, su cui sta portando avanti diverse sperimentazioni. Secondo i sommelier, mentre a livello internazionale il tappo a vite è ormai sdoganato e l’attenzione viene posta solamente alla qualità del vino proposto, come spiegato da Montone, con particolare riferimento al Regno Unito, è ancora molto forte il tradizionalismo italiano.
“Non possiamo più parlare solo di romanticismo nell’atto dell’apertura della bottiglia, la figura del sommelier non è solo questo ma deve guardare alla qualità di ciò che propone. La rivoluzione parte dalle aziende, ma passa attraverso di noi per arrivare al cliente finale: se il tappo a vite conserva in modo migliore il vino nella modalità in cui lo ha inteso il produttore, è necessario andare in questa direzione” commentano, in sintesi, i sommelier. Accanto alla presentazione al cliente finale, nel corso dell’appuntamento si è dibattuto sulla tematica dei disciplinari di produzione. I Consorzi sono gli unici enti che hanno la possibilità di applicare le regole già in vigore a livello di Comunità Europea in merito al tappo a vite, che renderebbe più facile ai produttori l’utilizzo discrezionale di questa chiusura anche per vini Doc e Docg. Sul tavolo, anche i risultati di uno studio comparativo delle vecchie annate dei vini de “Gli Svitati” tra tappo in sughero e tappo a vite, illustrati dalla dottoressa Silvia Carlin e dal professor Fulvio Mattivi della Fondazione Mach. Le etichette prese in analisi per la degustazione comparativa sono state Soave Doc “Otto” 2010 di Graziano Prà, Sauvignon Dolomiti 2007 di Pojer e Sandri, Venezia Giulia Bianco Igt “Vintage Tunina” 2013 di Jermann, Pinot Nero “Schweizer” 2015 di Franz Haas e Barbera “Monleale” 2016 di Vigneti Massa.
“I risultati analitici permettono di evidenziare che tutte le coppie di vini portati in degustazione, affinati in condizioni identiche ma confezionati con le due diverse chiusure - spiega Silvia Carlin - hanno cambiato la loro composizione in seguito all’ingresso di livelli diversi di ossigeno: in particolare, i vini tappati in sughero presentavano una quantità maggiore di aldeidi come il metionale (un composto con note vegetali, da patata bollita), metilbutanale (con note erbacee) e fenilacetaldeide (con note di miele), che derivano da reazioni di ossidazione”. “È spesso ritenuto, sbagliando, che le chiusure tecniche con basso Otr (Oxygen Transmission Rate) vadano bene solo per i vini giovani. Quando invece è dimostrato come le differenze tra le chiusure diventino più evidenti nei lunghi invecchiamenti” aggiunge il professor Fulvio Mattivi, che con il secondo studio ha preso in analisi alcuni esperimenti aziendali resi disponibili da Vigneti Massa, in particolare 20 bottiglie di Timorasso 2017 (imbottigliate a corona, Nomacorc reserva, sughero, vite) e 16 bottiglie di Timorasso del 2018 (imbottigliate con Diam 10, Nomacorc reserva, vite). “Questo studio ha dimostrato che le differenze di prestazione tra le diverse chiusure tecniche si riflettono in maniera evidente dal punto di vista chimico analitico sul profilo aromatico dei vini e, solo nel caso di differenze di ingresso di ossigeno importanti, anche nel profilo sensoriale. Sta quindi all’enologo, in una ottica di enologia di precisione, scegliere l’abbinamento tappo/chiusura in funzione delle caratteristiche del vino, della lunghezza dell’affinamento previsto in bottiglia, ed assecondando lo stile evolutivo desiderato”.
Michele Fino, professore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ha portato alla luce una riflessione più ampia giocando sul tema della “chiusura”: non solo come tappatura del vino, ma anche ideologica, che impedisce di pensare ai problemi dell’innovazione in ambito vitivinicolo. “Il problema di impostazione è l’idea che una chiusura determini il prestigio di una denominazione. In tempi di attenzione crescente per la sostenibilità, non dovrebbe essere preferita come reputazionalmente migliore la soluzione che impatta di meno in termini di costi energetici e di riciclabilità? Con quale diritto si stabilisce che il tappo a vite pregiudica la reputazione mentre usare una bottiglia di vetro da 800 g per un vino fermo no?”. Ed anche gli studi di Nomisma, riportati da Emanuele di Faustino, fanno emergere un consumatore sempre più attento al packaging eco-sostenibile: “tra gli aspetti positivi riconosciuti dal cliente finale al tappo a vite, l’attenzione all’ambiente risulta essere fondamentale, così come la sua facilità d’uso”. “Le chiusure in alluminio, infinitamente personalizzabili in decorazione e funzionalità, rappresentano una scelta responsabile di sostenibilità. Nel 2010 - ha concluso Federico Donato (Guala Closures) - siamo stati i primi nel settore ad introdurre strategie e obiettivi per costruire un Gruppo capace di innovare e di preservare il nostro mondo”.

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