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IL TIRRENO

L’Italia beve meno, il vino punta tutto sui mercati stranieri ... La pesante crisi riduce i consumi nel nostro paese ... Si cercano nuove strade, a cominciare dal boom del bio ... L’Italia del vino avanza a due marce. Accelera nell’export, dove in un anno le quote di mercato aumentano del 2,5%. Rallenta nei consumi interni, vermi a venti milioni di ettolitri. Entrambe sono facce della crisi e fanno da sondo alla 46° edizione del Vinitaly, inaugurato ieri alla fiera di Verona dal ministro Mario Catania. Il clima di recessione condiziona da anni la kermesse – la più grande del mondo con i suoi 4164 espositori - ma proprio ora che la crisi batte più forte le esportazioni crescono, al punto da distanziare la Francia.

I produttori prendono il dato con le molle: il 2010 è stato l’annus horribilis del vino italiano sui mercati esteri e nel 2011 non poteva che andare meglio. Restano i problemi di un settore che soffre pure l’eccessiva produzione, con i magazzini difficili da svuotare e la concorrenza che spunta dove meno te l’aspetti: Uzbekistan, Moldavia, Azerbaijan, Armenia, tutti rappresentati a Vinitaly, quest’anno più labirintica di sempre. Ma è difficile che i Paesi emergenti costituiscano una minaccia al nostro mercato interno, sciovinista come pochi. Se in caso la contrazione dei consumi è imputabile ad altri fattori, in testa ai quali va sicuramente la ridotta capacità di spesa degli italiani: la pressione delle tasse resta superiore al 42% e le famiglie risparmiano su ciò che mettono in tavola o acquistano al supermercato, con meno frutta, carne e latte fresco. E con meno vino, il cui consumo è calato dai 10 litri annui pro-capite dei primi anni ’70 ai quaranta di oggi, di pari passo alla sua trasformazione da prodotto alimentare a edonistico. Il calo si nota anche nel numero di etichette proposte dai ristoranti, inferiore al passato per il singolare effetto provocato a distanza dai controlli con l’alcoltest: gli stock in cantina crescono, la rotazione delle bottiglie va avanti ma lentamente, aumentano le giacenze. la soluzione potrebbe stare nella vendita del vino al bicchiere, ma in Italia la tradizione ha il suo peso. Non siamo negli Stati Uniti, dove addirittura i bicchieri di vino si vendono online, con mini bottiglie da dieci millilitri. Cosa accadrà se a ottobre l’aliquota Iva salirà dal 21 al 23%? Accadrà che i consumi si ridurranno ancora di più visti i redditi e il prevedibile aumento dei prezzi, con le aziende produttrici prese tra l’incudine e il martello. laddove il martello sta nei costi maggiorati (solo l’Imu sui fabbricati rurali costerà un miliardo) e l’incudine nelle tasche dei consumatori, sempre più vuote per i prezzi crescenti degli alimentari e dei carburanti. La crisi ha emarginato larghe fasce di consumatori, ma non ha intaccato la vendita delle bottiglie di qualità. “I produttori storici vanno bene - osserva Paolo Valdastri, direttore del consorzio dei vini Bolgheri - Per i nuovi l’andamento è disomogeneo e dipende dalla predisposizione individuale al commercio”. In genere si beve meno ma meglio, poiché a dispetto del calo generalizzato del settore, in proporzione le bottiglie di fascia alta sono quelle più gettonate. Vola il Brunello, quattro anni dopo lo scandalo dei disciplinari disattesi, quando parve che la migliore tradizione vinicola nostrana finisse ridimensionata. Anzi, l’immediato futuro riserva ulteriori affermazioni per il re dei vini toscani: l’annata 2007 del castello Banfi sarà servita nelle occasioni ufficiali assieme al Rosso di Montalcino 2010 della stessa casa produttrice. Un autentico riscatto per un territorio pregiato ma iscritto con eccessiva disinvoltura nella lista dei cattivi, che tuttavia la pari degli altri è alle prese non solo con la recessione ma pure con i cambiamento del gusto. Le bottiglie troppo alcoliche lasciano il campo a quelli con gradazione massima di 12,5 gradi, appositamente concepite nell’epoca dominata dall’etilometro ma anche sulla scorta di studi davvero singolari. Come quello secondo il quale per 7 donne su 10 l’uomo che indovina il vino adatto (moderatamente alcolico, s’intende) ha più chance di chi arriva all’appuntamento con i fiori. Ma al di là delle ricerche eccentriche, che a Vinitaly fioriscono come margherite in primavera, sta il fatto che in epoca di crisi i produttori cercano nuove strade. Come quella dei vini bio, da tutti descritti in forte crescita sui mercati dove la domanda fa i conti con la consapevolezza salutistica. A Verona gli è stato dedicato uno spazio specifico (“Vivit” con 127 espositori), ora che la Ue ha deciso di riconoscere le etichette biologiche della prossima vendemmia. Per i consumatori sarà una piccola rivoluzione: la scelta sarà orientata non solo dal prezzo e dal gusto, ma anche dalle modalità di produzione. Un cambiamento delle abitudini, peraltro scandito da una fantasia sconosciuta in passato, che passa attraverso quelle eno-professioni che WineNews raggruppa in tre famiglie: il cacciatore dei clienti top, il comunicatore specializzato su Facebook, l’autista personale salva-etilometro, offerto da cantine e locali come servizio aggiuntivo per i propri ospiti. Insomma Vinitaly, oltre che il più grande banco di assaggio e la migliore vetrina di affari del mondo, si conferma un laboratorio d’idee. il meglio del mondo vinicolo s’incrocia in questi 10 ettari di fiera dove la domanda e l’offerta provano a mescolarsi con le nuove tendenze. Il risultato è una carica di ottimismo, ingiustificata se si considera l’andamento dell’economia. La crisi dovrà pur finire, si ripete nei padiglioni e così si diceva anche l’anno scorso. Poi le cose hanno preso un’altra piega.

Come succede in ogni momento difficile, affiora la voglia di sdrammatizzare, riassunta nell’ennesimo sondaggio: e se avessero ragione i Maya, che vaticinarono l’apocalisse per il 21 dicembre 2012? In tal caso servirebbe un ultimo brindisi. In tal caso servirebbe un ultimo brindisi. E Verona avanza qualche proposta, affilando una serie di bottiglie immortali: il Sassicaia 1985, subito alle spalle del Barolo Confortino del 1964, seguito, tra gli altri, dai toscanissimi Brunello di Montalcino Riserva di Biondi Santi 1985, Masseto 2001 e Solaia 1988. Tanto non servirebbe lasciarle invecchiare.

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