Parlare di vino italiano negli Stati Uniti vuol dire addentrarsi in un mondo complesso, una storia iniziata tanti decenni fa, che oggi vive probabilmente il suo apogeo, grazie ad un giro d’affari che nei primi 10 mesi del 2018, come ricordano i dati Ice di New York, ha toccato 1,65 miliardi di euro, per una quota di mercato che vale il 31,8% di tutto il vino importato sul mercato statunitense. Valori importanti, cui corrispondo volumi altrettanto importanti, legati negli ultimi anni al fenomeno Prosecco, e prima ancora al boom del Pinot Grigio, ma anche al meglio della produzione enoica del Belpaese, dal Barolo al Brunello, dall’Amarone ai Super Tuscan, che hanno in Usa un mercato assolutamente privilegiato. Legato, ricalcando la abitudini dei consumatori americani, principalmente alle due Coste, con la California da una parte, Stato del vino per antonomasia, e New York, Washington e la Florida dall’altra. È da qui che è iniziato il lungo viaggio intorno al mondo di Simply Italian Great Wines 2019 organizzato dalla Iem, con la prima tappa dell’Americas tour, con le aziende del vino del Belpaese protagoniste a Miami, città poliedrica e vivace, affacciata idealmente sul Caribe, e crocevia culturale e geografico tra Sud e Nord America.
Una terra di passaggio, dove per strada si parla più spagnolo che inglese, con la comunità latina che è decisamente la più numerosa. Ma l’area metropolitana di Miami, dove vivono più di cinque milioni e mezzo di persone, è talmente grande (da Nord a Sud supera i cinquanta chilometri di estensione, ndr) da includere quartieri straordinariamente diversi l’uno dall’altro, dove l’alta ristorazione italiana gioca un ruolo fondamentale, grazie ad una galassia di locali di altissimo livello, dove le carte dei vini, per la stragrande maggioranza, e non potrebbe essere altrimenti, italiani, che offrono una tale varietà di scelta da fare impallidire quelle di qualche stellato Michelin (qui, però, la ”rossa” francese non esiste ...). Una galassia capace di fare rete e massa critica, dove le storie di imprenditori di lungo corso, come Mauro Bortignon, arrivato vent’anni fa dal Veneto ed oggi vera e propria autorità del settore a Miami, dove negli anni ha aperto decine di locali, si incrociano con quelle di giovani manager che gestiscono migliaia di bottiglie.
Il viaggio di WineNews, però, inizia da un veterano, Lucio Zanon, per tanti anni al servizio di Cipriani, a Venezia, prima tappa di un lungo viaggio, che l’ha portato prima a New York, dove ha gestito i locali del Gruppo Cipriani, quindi a Miami, dieci anni fa, dove da un anno ha aperto lo “Zucca”. Siamo a Coral Gables, a sud della città dove l’estate sembra non finire mai, con temperature medie che anche in pieno inverno superano i venti gradi, e tassi di umidità che, incredibilmente, non sembrano influire sui gusti dei wine lover americani, decisamente spostati verso i grandi vini rossi. “Nella nostra carta dei vini - racconta Zanon - la punta di diamante è la Toscana, con i Brunelli ed i Super Tuscan, dal Sassicaia al Solaia, all’Ornellaia. Ma è bello poter parlare con la gente e far conoscere i vini del Piemonte, così come quelli della Puglia, della Sicilia o della Campania. Il nostro ruolo è quello di fare cultura, non di insegnare, ma di raccontare le storie che stanno dietro la bottiglia, è quello l’aspetto che coinvolge e conquista la gente, e che - conclude Zanon - ci differenzia dagli altri”.
Grandi bottiglie che strutturano anche la lista del “Le Sirenuse”, il ristorante e Champagne bar del Four Seasons Surf Club, uno degli indirizzi più esclusivi della città, aperto in collaborazione con la famiglia Sersale, che a Positano vanta una stella Michelin, e con il giovanissimo Alessio Anedda ad occuparsi della cantina. “Nonostante la cucina dello che Antonio Mermolia (allievo di Davide Scabin, ndr) sia essenzialmente mediterranea e di pesce, i clienti del “Le Sirenuse” - spiega Anedda - hanno gusti ben definiti, legati alle proprie abitudini, e quindi ai vini della California e del Sud America, potenti, legnosi, rotondi. È difficile far cambiare loro idea, ma è proprio questa la nostra missione: conquistare la loro fiducia, guidarli alla scoperta della ricchezza enologica italiana, che ha ancora tanto da far conoscere, e convincerli che, se proprio vogliono bere un rosso con un’orata, tanto meglio un Nebbiolo di un Malbec”. Una sfida tutt’altro che facile, affrontata con una proposta “che parla spiccatamente italiano, convinti che la qualità delle nostre produzioni migliori non abbia nulla da temere dal confronto col resto del mondo, al contrario: nel nostro Champagne bar le bollicine della Franciacorta se la giocano alla pari con quelle francesi, penso ad esempio al successo che sta avendo il Ca’ del Bosco, anche se la nostra clientela - ricorda Anedda - ha una capacità di spesa davvero importante, e allora una volta conquistata la loro fiducia diventa anche bello far conoscere etichette come il Brunello di Pian delle Vigne, o, tra i bianchi, il Trebbiano di Emidio Pepe, vini assai diversi dai soliti Cabernet Sauvignon e Chardonnay”.
Ultima tappa del nostro piccolo tour, è un locale decisamente diverso, nato sulla falsa riga di Eataly e del Mercato Centrale di Firenze: si chiama “Casa Tua Cucina”, è a Miami Beach, in un quartiere in piena espansione e crescita, e già dal nome si capisce come l’offerta sia, per quanto possibile, italiana nel cibo come nel vino, dove in effetti nelle scelte del beverage manager Filippo Visconti di Modrone, formato all’Università Gastronomica di Pollenzo e sbarcato a Miami da Milano, ci sono giusto un paio di Champagne a “stonare”. Il resto, però, parla una “lingua” assai diversa dal solito, più coraggiosa e peculiare. “In America, lo sappiamo bene, per la stragrande maggioranza della gente Italia vuol dire Pinot Grigio e Prosecco. Ecco, noi abbiamo voluto fare qualcosa di diverso - racconta Visconti - con una selezione al calice di 60 etichette, ma neanche un Pinot Grigio. All’inizio, è stata dura, ma quando il cliente si è trovato di fronte all’assenza di ciò che conosce, si è semplicemente lasciato guidare nella scelta di qualcosa di diverso, cogliendo così la possibilità di conoscere vini meno popolari ma straordinari, come l’Erbaluce ad esempio, difficili da trovare sul mercato Usa, specie in Florida, ma è una sfida che si sta rivelando vincente”. Una sfida, ecco cos’è il mercato della Florida per il vino italiano, in cui fermarsi, o credere che non ci sia granché da fare o da migliorare, è quanto di più sbagliato si possa fare, perché se gli Usa sono un mercato universalmente riconosciuto come maturo, all’interno esistono così tante differenze e così tanto dinamismo, che ciò che funziona oggi, difficilmente continuerà a farlo domani.
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