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CORNELL UNIVERSITY

Ingegneria, biologia e intelligenza artificiale per studiare e prevenire le malattie della vite

Si chiama “BlackBird”, il robot capace di analizzare migliaia di foglie di vite in un giorno e combattere gli effetti dell’oidio
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La ricerca in laboratorio sulle malattie della vite

Quando biologia e ingegneria robotica si incontrano, sul terreno impervio e complesso della viticoltura, il risultato “rischia” di essere rivoluzionario. Lance Cadle-Davidson, biologo e professore alla School of Integrative Plant Science alla Cornell University di New York, nei suoi studi sulla creazione di varietà resistenti all’oidio (e ad altre malattie), che colpisce sì la vite, ma anche altre colture, si è ritrovato di fronte ad un collo di bottiglia sempre più stretto. In sostanza, la necessità di analizzare migliaia di foglie di vite al microscopio ha rappresentato un freno gigantesco alla ricerca del professor Cadle-Davidson. Per uscire dall’impasse, da patologo dello US Department of Agriculture’s Agricultural Research Service, e da membro dell’Unità di Ricerca sulla Genetica dell’Uva a New York e Ginevra, con il suo team ha progettato prototipi di robot in grado di scansionare automaticamente i campioni di foglie di vite - attraverso un processo chiamato fenotipizzazione ad alto rendimento - nell’ambito del progetto di viticoltura “VitisGen2” finanziato dall’Usda-Ars e in partnership con il Light and Health Research Center. Una partnership che ha portato alla creazione di una fotocamera robotica chiamata “BlackBird”.

Problema risolto? Niente affatto. Al contrario, è quei che viene il difficile, perché estrarre informazioni biologicamente rilevanti da un’immagine ad altissima definizione è il passaggio più impervio. Ed è qui che entra in gioco Yu Jiang, ricercatore alla SIPS’ Horticulture Section della Cornell AgriTech, specializzato in ingegneria dei sistemi, analisi dati e intelligenza artificiale. La sua sfida è stata quella di estrarre informazioni utili dalle immagini di BlackBird, capace di restituire, da un centimetro di foglia analizzato, 5.000 per 8.000 pixel di informazioni, alla qualità cioè di un comune microscopio ottico. La soluzione, per Yu Jiang, è arrivata dall’Intelligenza Artificiale, più precisamente dalle scoperte più recenti sulle reti neurali profonde, già utilizzate in attività come il riconoscimento facciale, applicate questa volta alle immagini microscopiche delle foglie di vite. Inoltre, Jiang e il suo team hanno implementato la visualizzazione dei processi inferenziali di rete, che aiutano i biologi a comprendere meglio il processo di analisi e ad acquisire così maggiore confidenza con i modelli basati sull’Intelligenza Artificiale.

I risultati sono stati eccezionali: lavorando insieme, il team del professor Cadle-Davidson testa e convalida ciò che il robot vede, permettendo al team del professor Jiang di insegnare ai robot ad identificare al meglio i tratti biologici delle foglie di vite e delle malattie che le attaccano. In questo modo, le ricerche che prima impegnavano un intero team per sei mesi, vengono svolte da un robot BlackBird in appena un giorno. In questo modo, le malattie delle piante come l’oidio possono essere rilevate agli infrarossi prima di essere visibili ad occhio nudo: se i ricercatori riuscissero a sviluppare strumenti per aiutare gli agricoltori a rilevare precocemente le malattie, ciò consentirebbe agli agricoltori di usare con maggior precisione, e minor dispendio quantitativo, i fungicidi prima che l’infezione si diffonda, il che significa meno fungicidi e meno danni tra i filari, che nel mondo, ogni anno, superano il miliardo di dollari.

“Una rivoluzione per la nostra scienza”, ha detto il professor Cadle-Davidson, alla guida di un progetto che ha già vinto due importanti premi negli Stati Uniti, per la portata e gli effetti positivi che potrebbe avere in viticoltura e, più in generale, in agricoltura. “Stiamo scoprendo che gli strumenti di intelligenza artificiale di Yu Jiang, in realtà, fanno un lavoro migliore nello spiegare la genetica di queste varietà di uva di quanto possiamo fare seduti al microscopio per mesi facendo un lavoro massacrante”. Da parte sua, il professor Jiang si augura di “trovare laboratori collaborativi che possano unirsi a noi per sfruttare questo strumento. Questa ricerca potenzialmente ha applicazioni sia in studi sulle piante, che in campo animale o per scopi medici”. Per ora, comunque, i primi risultati sono proprio nella genetica dell’uva, come ricorda il presidente della National Grape Research Alliance, Donnel Brown: “Normalmente, quando nell’industria investiamo in ricerca, lo facciamo sapendo che potremmo non vedere mai il risultato dei nostri investimenti nelle nostre vite: è davvero un investimento basato sulla fede nelle generazioni future di coltivatori. In questo caso, invece, parliamo di una tecnologia che sta abbreviando tantissimo queste tempistiche, a vantaggio di coltivatori e consumatori”.

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