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Italian sounding, prodotti taroccati ad una fiera dell’eccellenza italiana a Milano: dopo la denuncia della trasmissione tv “Striscia la Notizia”, la condanna di Coldiretti e Federalimentare. “Inaccettabile atto di autolesionismo del made in Italy”

“Salama Napoli”, “Salama Milano” e “Parmesan Salami”: nomi che non rimandano a niente, di sicuro non al made in Italy. Eppure, sono solo alcune delle marche di prodotti contraffatti presenti in un mercato del made in Italy, non in un Paese estero, ma proprio in Italia, a Milano. Addirittura era un’occasione per celebrarne proprio la grandezza e la varietà, a pochi metri dall’ex presidente Usa Barack Obama. Coldiretti e Federalimentare, dopo che un servizio di “Striscia la Notizia” ha smascherato l’inganno, hanno denunciato pubblicamente il problema della contraffazione dei tesori del made in Italy. Un inaccettabile atto di autolesionismo a danno della filiera agroalimentare nazionale con la promozione di prodotti che - denunciano Federalimentare e Coldiretti - non solo rubano mercato e posti di lavoro a tutta la filiera agroalimentare italiana, ma ingannano i consumatori di tutto il mondo, con un giro di affari illegittimi pari a tre volte il vero export alimentare italiano.
“Occorre trovare un sistema per difendere con la trasparenza dell’informazione, dalle etichette alle fiere, un patrimonio nazionale dell’Italia sotto attacco dell’agropirateria internazionale che toglie al vero made in Italy alimentare ogni anno 60 miliardi di euro e trecentomila posti di lavoro”, ha affermato il presidente Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “operatori economici ed Istituzioni devono sostenere insieme il vero made in Italy, dentro e fuori i confini nazionali, per contrastare la delocalizzazione e i suoi pesanti effetti sull’economia e sul lavoro”.

È “surreale e incomprensibile”, secondo il presidente Federalimentare, Luigi Scordamaglia, “che si invitino espositori non italiani che, non solo sono tra i nostri principali concorrenti sul mercato mondiale con l’Italian sounding, ma che minano ogni giorno la reputazione dell’industria alimentare, solo per vendere qualche spazio in più.
I conti economici delle fiere - conclude Scordamaglia - non possono vincere sulle priorità del sistema. In passato, come Organizzazione e come Paese, abbiamo concluso accordi con importanti fiere mondiali come quella di Colonia o con giganti dell’e-commerce come Alibaba per avere garanzie di contrasto alla vendita dell’Italian sounding ed oggi vanifichiamo gli sforzi incentivandone la diffusione o addirittura promuovendo i brand verso i buyer arrivati da tutto il mondo per la food week di Milano. La domanda, ora, è se è giusto che chi non risponde a semplici regole di buon senso, continui a ricevere finanziamenti pubblici”.

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