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L’AGGREGAZIONE FA LA FORZA, MA IN ITALIA IL TRAGITTO DEI PRODOTTI DA CAMPO A TAVOLA È LUNGO IL DOPPIO DEL NECESSARIO, E LE TRANSAZIONI PARASSITARIE “SUCCHIANO” IL 10-12% DEL VALORE. PAROLE CHE ARRIVANO DA CONFERENZA ECONOMICA DEGLI AGRICOLTORI CIA

L’aggregazione fa la forza. Non solo perché dà alle piccole imprese agricole la capacità di stare sul mercato, ma soprattutto perché permette di accorciare la filiera, eliminando gli sprechi e recuperando equità e trasparenza. In Italia il tragitto dei prodotti dal campo alla tavola è lungo in media il doppio del necessario, e le transazioni parassitarie“succhiano” il 10-12% del valore: uno spreco che pesa sugli anelli più deboli della catena, consumatori e produttori, e che va recuperato e orientato verso un’efficace valorizzazione della qualità. A dirlo è la Cia - Confederazione Italiana Agricoltori, alla Conferenza economica n. 7, di scena ieri ed oggi a Lecce.
In Italia, le inefficienze della filiera alimentare sono - spiega la Cia - la prima causa della scarsa competitività delle aziende agricole, a cui va appena il 18% del prezzo finale che i consumatori pagano allo scaffale. Ma una più equa distribuzione dei guadagni passa attraverso il taglio delle intermediazioni inutili, che mediamente portano il numero degli “step” dai 3 o 4 necessari fino a 6 o addirittura a 8. I motivi principali sono la scarsa aggregazione dell’offerta e la mancata programmazione di quasi tutti i comparti produttivi. Basti pensare che il totale delle Op riconosciute dal Mipaaf in Italia è 497, di cui ben 299 operano nell’ortofrutta. Ma anche in questo comparto, che è il più organizzato nel panorama agricolo del nostro Paese, i volumi di prodotto aggregato -continua la Cia - sono inferiori al 40% e la quota di mercato derivante da una filiera organizzata è pari al 38%, che ci colloca a un misero decimo posto nella graduatoria dei Paesi Ue più organizzati dal punto di vista delle filiere. Il fatturato delle Op italiane dell’ortofrutta è di poco superiore alla media europea (34%). Ma in Europa ci sono Paesi in cui questo valore arriva al 100% (Olanda), o supera l’80% (89,1% il Belgio e 87,1% l’Irlanda). E anche Paesi produttori come la Francia che stanno a quota 46%.
Ma se anche per l’ortofrutta c’è ancora tanto da fare gli altri comparti sono molto più indietro. E un esempio eclatante è dato proprio da uno dei settori d’eccellenza dell’agroalimentare italiano: l’olivicoltura. In questo caso il grado di organizzazione dei produttori varia notevolmente da uno Stato membro all'altro: la Spagna ha una percentuale di organizzazione del 70%, la Grecia del 60%, il Portogallo del 30% e l’Italia appena del 5%. Ma non solo. Fatta eccezione per il comparto vitivinicolo, in cui l’offerta aggregata arriva a quota 40%, grazie alla fitta rete di cooperative che operano nel settore, le quantità di prodotto conferito a forme aggregate di produttori sono per il resto molto basse: a partire dal comparto cerealicolo, in cui l’offerta aggregata non supera il 10% -e il numero di Op non supera le poche decine- fino a quello lattiero-caseario dove raggiunge quota 15%.
All’aggregazione interna al settore agricolo va affiancata una programmazione efficace delle dinamiche di mercato che abbia un approccio interprofessionale. In questo senso - ribadisce la Cia - è urgente rilanciare gli organismi interprofessionali, come le Oi e i consorzi per la tutela delle denominazioni. È ora quindi che la qualità indiscussa dell’agricoltura italiana venga sostenuta dalla competitività delle imprese, a cui si deve lavorare a più livelli, accelerando i processi di aggregazione della fase produttiva, ma anche promuovendo l’integrazione delle filiere per arrivare a ottenere equilibri equi e responsabili tra agricoltori, trasformatori e distributori. Solo in questo modo, inoltre, è possibile superare i limiti strutturali dell’agricoltura italiana, a partire dalle piccole dimensioni aziendali fino all’elevata dispersione territoriale, che da sempre limitano lo sviluppo del settore.

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