Il fulcro economico e politico del mondo continua a spostarsi, in maniera ineluttabile, verso est. È la Cina, ormai, il Paese più potente al mondo, quello a cui tutti guardano con la speranza di agganciare una crescita economica che non sembra conoscere limiti, Neanche la pandemia, che pure è partita proprio da qui, ha frenato la locomotiva cinese, destinata a chiudere il 2021 con una crescita del Pil compresa tra il +8,3% e il +8,9%. Con riscontri tangibili anche per il commercio del vino: dopo 3 anni di forte calo, nel primo semestre 2021 i volumi segnavano un -1,4%, e i valori un -9,4%, con un evidente calo del prezzo medio. C’è ovviamente da considerare l’impatto del crollo delle importazioni dall’Australia, fino a qualche mese fa primo partner enoico di Pechino, dove i dazi superiori al 100% hanno provocato un calo del 90% delle spedizioni. È in questo spazio che si sono inserite le crescite di Spagna, Francia e Italia, cresciuta al giro di boa del 2021 del +75,7% sullo stesso periodo del 2020, passando da 37 a 65 milioni di euro.
Nonostante tutto, però, in termini di Pil pro capite il Dragone è ancora indietro, ed è proprio sulla redistribuzione della ricchezza che il Segretario del Partito Comunista Cinese e Presidente della Repubblica, Xi Jinping, pare deciso ad intervenire, con una svolta che potrebbe rivelarsi epocale, imponendo regole più severe ai ceti ad alto reddito che, ha detto qualche settimana fa Xi Jinping, “devono essere chiamati a restituire alla collettività una parte di quel che hanno guadagnato”. La Cina, insomma, dopo la rivoluzione filo capitalista di Deng Xiao Ping, al motto di “arricchirsi è rivoluzionario”, è pronta a rimettere al centro i valori del socialismo, dandosi come priorità “la prosperità comune a vantaggio di tutti”.
Impossibile, ad oggi, prevedere gli effetti di una svolta del genere sui consumi di vino, per ora legati proprio a quella borghesia produttiva cui Xi Jinping è pronto a chiedere sacrifici. Di certo, la crescita della classe media, per un certo tipo di consumi, almeno potenzialmente, è una buona notizia, a patto poi che il vino la sappia intercettare. Intanto, ai big dell’economia del Paese - da Alibaba a Didi - sono state chiuse le porte della quotazione sulle borse internazionali, mentre il mondo finanziario pare più incuriosito che terrorizzato all’idea del fallimento di Everganrde, il colosso immobiliare che ha accumulato ben 305 miliardi di dollari di debiti, e che Pechino non pare intenzionato a salvare, dando così un’ulteriore segnale agli eccessi di un liberismo che, in Cina, non avrà più patria, o almeno non nella forma e nella misura a cui eravamo abituati.
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