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LA CINA SI ARRABBIA PER L’OLIO D’OLIVA POCO ITALIANO ED ESIGE MAGGIORI INFORMAZIONI SULLE AZIENDE COINVOLTE. MA IL FALSO MADE IN ITALY COLPISCE SOPRATTUTTO LA FILIERA DELL’AGROALIMENTARE DEL BELPAESE, CHE PERDE OGNI ANNO 60 MILIARDI

La Cina vuole vederci chiaro sulla questione dell’olio di oliva italiano, che italiano non è, tanto che l’Autorità per la qualità del gigante asiatico ha chiesto all’Ambasciata italiana di Pechino di fornire maggiori informazioni sulle aziende sospettate di spacciare olio proveniente da altri Paesi per olio italiano al 100%. Il danno, ovviamente, è a scapito di tutta la filiera del made in Italy agroalimentare, dai campi all’industria di trasformazione, che punta sui mercati esteri emergenti per continuare a crescere, forte di una qualità unica e, teoricamente, inimitabile. Italian sounding e falso made in Italy, invece, provocano un danno peggiore di una qualsiasi calamità naturale, soprattutto sugli scaffali dei supermercati esteri, dove il Parmigiano Reggiano diventa spesso e volentieri “Parmesan” e il Prosciutto di San Daniele “Daniele Ham” (il giro d’affari dei falsi formaggi italiani tra gli scaffali delle Gdo statunitense, per rendere l’idea, è di oltre 2 miliardi di euro). Sono quasi 165 milioni di euro al giorno i danni che la contraffazione provoca al made in Italy agroalimentare nel mondo: un business, totalmente illegale, che vale ben 60 miliardi l’anno, una cifra pari a due volte il valore complessivo dell’export agroalimentare italiano, che nel 2011 è stato di 30 miliardi di euro(+9% sul 2010). A rivelare il peso dell’illegalità è stata la Cia - Confederazione Italiana Agricoltori, che ha dato il proprio contributo sul dibattito andato in scena alla Camera dei Deputati sulla contraffazione in campo alimentare, presentata dall’apposita Commissione parlamentare di inchiesta: la situazione, insomma, è estremamente grave, specie se si considera che l’Italia vanta il 22% dei prodotti certificati registrati complessivamente a livello europeo, una ricchezza quotidianamente defraudata dal “supermarket del tarocco” che, come è accaduto per l’olio esportato in Cina, spesso nasce proprio nel nostro Paese, che a livello mondiale sconta la mancanza di misure sufficienti a contrastare truffe e falsificazioni alimentari.

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