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LA CINA SI ARRENDE AL PROSCIUTTO … SCORTE A RISCHIO? LO AFFERMA LA COLDIRETTI

Con il superamento delle ultime barriere burocratiche la Cina si arrende al prosciutto made in Italy con la prospettiva di farne addirittura esaurire la produzione con il solo consumo di dieci fettine a testa, tenuto conto peraltro della nota preferenza cinese per la carne di maiale. Lo afferma la Coldiretti con riferimento all’accordo sui documenti necessari all’esportazione in Cina dei prosciutti di Parma e San Daniele comunicato al Ministero della Salute dal vice ministro cinese Wei Chuanshong il 13 luglio.

Il superamento dei pretestuosi ostacoli burocratici, secondo il Ministero della Salute, “consente di avviare da subito l’esportazione dei suddetti prodotti”, completando una procedura iniziata - sottolinea la Coldiretti - con le prime negoziazioni nel 2003. Soprattutto alla luce delle difficoltà di mercato registrate in Italia nel settore suinicolo, si tratta - continua la Coldiretti - di una prospettiva incoraggiante del quale potranno subito avvantaggiarsene i primi 36 stabilimenti italiani (situati nell’area di produzione dei due prodotti, in Emilia Romagna e in Friuli Venezia Giulia) che sono stati autorizzati a esportare in Cina i propri prodotti suini stagionati.

La produzione annuale di prosciutti di Parma e San Daniele è pari a 12 milioni di pezzi e nel 2006 - riferisce la Coldiretti - le aziende del Consorzio del prosciutto di Parma hanno esportato oltre 1,9 milioni di prosciutti con un incremento del 7,8%, circa 140.000 pezzi in più. La crescita ha riguardato principalmente l’Europa (+115.000 prosciutti), ma con un buon contributo dei mercati d’oltreoceano, che sono cresciuti di 25.000 prosciutti. La Francia con 430.000 prosciutti - precisa la Coldiretti - è il primo mercato seguita da Stati Uniti (360.000), Germania (350.000), Gran Bretagna (230.000) e Giappone (104.000). Fare leva sui peccati di gola e sulle tentazioni della moda è il miglior modo per conquistare il grande mercato della Cina poiché - sostiene la Coldiretti - al 39% dei cinesi l’Italia fa venire in mente i capi d’abbigliamento, seguiti da cibo e vini tipici (31%), dal calcio (31%) e dai luoghi più belli del nostro Paese (19%), secondo una ricerca Leonardo-Ice-Piepoli.

A differenza - continua la Coldiretti - restano bloccate, nonostante i ripetuti annunci, le esportazioni di frutta made in Italy verso la Cina con pretesti amministrativi e sanitari che impediscono l'arrivo sul mercato cinese di prodotti come kiwi e mele per i quali - sostiene la Coldiretti - si registra un vero boom nella domanda interna, con quasi il raddoppio del consumo di frutta dei cinesi negli ultimi dieci anni.

Si tratta di una situazione che aggrava il deficit commerciale nazionale nell’agroalimentare: per ogni prodotto alimentare italiano esportato in Cina ne arrivano quasi dieci nel Belpaese. Un vero paradosso mentre in Italia si è registrato il record storico negli arrivi di conserva di pomodoro cinese proprio in coincidenza con il diffondersi dell'allarme sui rischi per la salute derivanti dalla produzione alimentare del grande paese asiatico. Il concentrato di pomodoro rappresenta in valore quasi un terzo delle importazioni (31%) dalla Cina e fa registrare con un incremento record del 150% in valore il record storico di tutti i tempi.

Una situazione particolarmente preoccupante dopo che l’Italia - conclude la Coldiretti - non è riuscita ad ottenere l’obbligo di indicare in etichetta l’origine dei prodotti agricoli impiegati negli alimenti trasformati, nell’ambito della riforma comune di mercato dell'ortofrutta, con il rischio che venga spacciato come made in Italy un prodotto importato. Occorre, dunque, applicare subito la legge nazionale 204 del 2004 per l’etichettatura di origine obbligatoria voluta dalla Coldiretti con il sostegno di 1,5 milioni di firme.

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