“Finalmente viene riconosciuto il ruolo di ambasciatori del “made in Italy” ai più grandi chef italiani, perché sono portatori indiscutibilmente di una cultura e di una tradizione che ha le radici nelle cucine regionali italiane e, allo stesso tempo, sono stati capaci (e sono capaci) di essere molto avanti in termini di apertura mentale alle nuove tecniche. Non hanno poi nessun problema a confrontarsi con prodotti nuovi che esulano dalla tradizione. Senza però mai perdere l’identità”. È una delle riflessioni, a WineNews, di Enzo Vizzari, responsabile de Le Guide dell’“Espresso”, che ieri ha presentato la guida “I Ristoranti d’Italia” 2016 (che ha visto, per la prima volta, assegnare il punteggio della perfezione, i 20/20 all’Osteria Francescana di Modena di Massimo Bottura; vedere anche articolo di ieri). Punta di diamante di “una squadra della grande cucina italiana, che è un fattore importante perché prima, di fatto, ci sono stati soprattutto dei grandi solisti”, spiega Vizzari.
“Adesso sono tanti i grandi chef, con i 50enni incalzati da una folta schiera di 30enni di grandissimo valore”. Sarà per questo, dunque, ribadisce Vizzari, che non è esagerato dire che “in Italia non si è mai mangiato così bene. C’è una crescita diffusa, in tutte le Regioni, chiaramente con qualche differenza, e tutti i livelli di ristorazione. È un momento di assoluta grazia che corrisponde anche al successo dell’agroalimentare italiano nel mondo. Quindi non c’è da stupirsi, c’è solo da rallegrarsene. Bisognerebbe solo che tutti insieme ci impegnassimo per valorizzare ed incrementare il valore aggiunto che viene da questo asset straordinario che abbiamo in Italia”. E se quella che Vizzari, oltre 10 anni fa, ha ribattezzato “la nuova cucina italiana”, oggi vive questo momento magico, è anche dovuto al fatto che “i nuovi chef sono tutti di eccellente formazione, hanno avuto l’intelligenza e l’opportunità di viaggiare, di uscire dalle cucine nelle quali hanno fatto apprendistato e di riportare non solo quello che hanno imparato, ma anche l’apertura mentale. Senza rinnegare le radici, ma innestando su queste radici un’apertura mentale fondamentale per fare cucina moderna”.
“Un presente luminoso che non è frutto del caso, dunque: nella storia della ristorazione italiana ci sono stati vari momenti - spiega Vizzari - la prima vera è arrivata alla fine degli anni ’80, con Gualtiero Marchesi, che in qualche modo ha applicato i concetti della nouvelle cuisine francese alla cucina italiana, ed è stata una grande lezione per tutti. Negli anni ’90, invece, è stato il momento dei grandi solisti, come Gianfranco Vissani, Fulvio Pierangelini, Ezio Santini, i Santini, per dirne solo alcuni, che hanno dato un segno di crescita importante, ma senza una squadra intorno. La vera svolta, però, erede di tutto questo, è arrivata intorno al 2005: l’ho chiamata “nuova cucina italiana”, espressione ormai di uso comune, che definisce una schiera di cuochi, come Bottura, Uliassi, Scabin, Beck, Alajmo e così via, che tenendo come base le nostre cucine regionali, e non disconoscendole, hanno aperto al rinnovamento, senza perdere le proprie radici culturali, sia dal punto di vista tecnico che dell’impiego dei prodotti. La spinta di questa generazione è quella che arriva fino ad oggi, tanto è vero che c’è una schiera di giovani, arrivati poco dopo, come Niko Romito e Piergiorgio Parini, ed altri, persino sotto i 30 anni, già spingono per prendersi la ribalta seguendo proprio il solco tracciato a partire dal 2015”.
Un presente davvero positivo, dunque, per la cucina italiana, tra i cui tavoli sembra anche che stia passando l’effetto della crisi economica, e che grazie alle nuove leve sembra proiettata verso un futuro ancora migliore. Con un immagine che viene sempre più spesso esalta anche a livello istituzionale. Ne è un esempio recentissimo la scelta de La Francescana di Bottura come tavola per l’incontro tra il Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, e quello della Repubblica francese Francois Hollande.
“Un segno insignificante - commenta Vizzari - se è fine a se stesso, ma se da questi incontri nasce poi un impegno coerente delle istituzioni a far sì che la cultura enogastronomica legata alla storia e all’ambiente, diventi poi di fatto l’asse portante di investimenti futuri, possono essere incontri anche molto importanti. Ma non basta sedersi a tavola ... ”.
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