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CONGRESSO ASSOENOLOGI

La cultura, la sostenibilità, i cambiamenti del mondo e dell’agricoltura: Carlo Petrini

Il fondatore di Slow Food dal Congresso Assoenologi n. 73: “il vino deve investire in cultura e confrontarsi con il cambiamento”
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Carlo Petrini Assoenologi

La cultura come condizione imprescindibile per la crescita di un comparto, quello dell’agroalimentare italiano, che solo imparando a conoscere, difendere e tutelare le proprie peculiarità e le proprie radici può garantirsi un futuro: a scuotere il mondo del vino, riunito al Congresso n. 73 di Assoenologi di scena a Trieste, è Carlo Petrini, fondatore di Slow Food che ha portato all’attenzione temi destinati ad essere centrali nel dibattito pubblico dei prossimi anni, e quindi nella quotidianità di un’intera generazione, quella dei Millennials. “Andare controtendenza va letto anche dal punto di vista dei giovani: vivo nel contesto di una piccola Università, con 600 studenti da 60 Paesi diversi, con una passione straordinaria per il vino. Lì, da un anno, ha aperto un’enoteca di vini naturali, ed è stato un enorme successo, e la cosa non è così sorprendete, è il culmine di una tendenza sempre più evidente. I trend, però, non sono quelli che intercettiamo a cose fatte, vanno visti prima, e la sostenibilità è uno di questi. Bisogna tenere ben presente - spiega Petrini - che non si tratta però di un elemento con una valenza commerciale, ma di un’esigenza, dettata anche dal cambiamento climatico, che determina processi enormi, come quelli migratori: basti pensare agli allevatori dell’Africa subsahariana, che scappano da territori ormai impossibili da coltivare: un problema drammatico, con tante colture costrette a spostarsi verso Nord, ma non è per tutti possibile”.
In questo contesto, assume un ruolo fondamentale la gastronomia che, riprende Petrini, “in un certo senso ha una dimensione olistica, in cui dentro c’è tutto: ambiente, salute, biodiversità, cultura, storia, antropologia, identità. Se non abbiamo questa visione, non siamo in grado di capire i tempi che ci aspettano, ed il mondo del vino, che di questo mondo è la punta di diamante, deve capire che l’evoluzione sarà radicale, anche rispetto al futuro dell’agricoltura. Un momento cruciale - ricorda il presidente di Slow Food - sarà il 25 luglio, quando la Corte dell’Unione Europea si pronuncerà sulle biotecnologie, espressione di una pratica millenaria come la mutagenesi, ossia l’ibridazione, che una volta aveva bisogno di decenni, oggi di pochi anni se non di pochi mesi. Non si parla di transgenesi, ma di portare un beneficio al mondo dell’agricoltura attraverso cui potremo rispondere al cambiamento climatico ed all’uso della chimica, in un processo rivoluzionario che verrà portato avanti da tutti noi. Dobbiamo avere coscienza di ciò che sta avvenendo, da da qui nascerà un’agricoltura tutta nuova, e noi non dobbiamo avere una visione passatista, pur rivendicando il nostro no alla transgenesi”.
Una rivoluzione, mette però in guardia Petrini, che per essere realmente tale deve essere per tutti. “Andiamoci piano con l’utilizzo di queste tecnologie, rendiamole favorevoli al bene comune, facciamo che sia una nuova realtà patrimonio di tutti e della biodiversità, al servizio del nostro patrimonio. Nessuno si metta in testa di brevettarle e farle diventare proprietà privata, Madre Natura è un bene di tutti. Piccoli produttori ed artigiani non possono trovarsi di fronte ad una manipolazione positiva che non possono usare. In questo senso, mi avvalgo di Luigi Einaudi, che sulla questione brevetti fu chiarissimo: non è possibile brevettare un elemento vivente, è giusto riconoscere il valore della ricerca, sostenendola e pagandola, ma ciò che è naturale è bene comune”.
Sono tutti argomenti verso i quali la sensibilità sta crescendo in maniera esponenziale, specie quando si parla di sostenibilità, “ma molti interpretano questo concetto dal punto di vista economico, e non è questo il punto: il consumismo come lo conosciamo oggi, infatti, non è sostenibile, il pianeta non ha risorse infinite. L’impronta ecologica, ciò che consumiamo, l’abbiamo esaurito in termini ambientali a maggio: la catastrofe è dietro l’angolo, e i giovani lo sanno. Chi ha 18-20 anni oggi - mette in gurdia Carlo Petrini - sa bene che è la tematica che si porterà dietro per i prossimi 50 anni, ed assistere a tutto ciò senza muovere un dito è da irresponsabili. Sono mille le pratiche che portiamo avanti sbagliando, come l’uso smodato della plastica, abbiamo una Nazione fatta di plastica che galleggia tra gli Oceani, la stiamo persino mangiando. Come può un giovane non riflettere su una cosa del genere? Sono tematiche destinate a diventare centrali. L’esigenza della sostenibilità è una condanna che ci renderà liberi e diversi, in armonia con il creato e con le nuove generazioni”.
Proprio tra i giovani appassionati di vini naturali, “gli enologi non sono troppo amati, ed io credo che si sbaglino, d’altro canto, gli enologi devono imparare a comunicare la propria visione culturale. Si parla tanto di mercati, enoturismo, ma la cosa che manca è l’orgoglio per la propria cultura, in senso generale, dal vino alla musica, dalla letteratura ai paesaggi. È mai possibile che un produttore toscano non conosca il Rinascimento? Finché non riusciremo tutti a capire cosa c’è dietro ad un piatto e ad un prodotto, non faremo passi avanti. Senza cultura alle spalle, non si può crescere come Paese. Spiace che l’accento cada sempre sugli aspetti commerciali: va preso il bandolo della cultura ed unito al lavoro, anche a quello dell’enologo, altrimenti non se ne esce. Prendiamo ad esempio il mercato cinese: se pensiamo di conquistarlo solo con le caratteristiche organolettiche dei vini non abbiamo colto il punto. Dobbiamo stimolare la curiosità per l’Italia e per i suoi tesori. Sono la prima potenza commerciale, ma si sono resi conto in questo lungo processo di crescita - ricorda Petrini - di aver distrutto la dimensione rurale, inquinando ed inurbando ogni angolo, in un Paese che vantava una civiltà contadina strepitosa. Oggi, però, sembrano essersi resi conto dell’errore, e c’è la volontà di tornare all’ambiente, alla qualità, ed in questo l’Italia avrebbe molto da raccontare di sé. Ho conosciuto il Ministro dell’Ambiente della Cina, con cui abbiamo parlato di ruralità e della necessità di ricostruirla: la campagna può essere una opzione di vita, basata sulla tecnologia, la vendita diretta, la socialità, ancora una volta la cultura. Entro il 2025 in Cina, così, ci saranno 1.000 villaggi Slow Food: abbiamo venduto ai cinesi un’idea, ben precisa, che andrebbe bene anche qui. Siamo pieni di villaggi che si stanno svuotando, spariscono i parroci, le Poste, le botteghe, stanno diventando dei dormitori, perché oggi si pensa solo a vendere, non a ricostruire. Quando perderemo questi paesi, il made in Italy andrà a farsi friggere, sono loro che fanno la cultura, senza di essi non avrebbe più senso una buona parte del made in Italy. Questo è ciò che manca, non i buoni vini, quelli ci sono già, comunque li facciate, naturali o meno. La rinascita - sprona il fondatore di Slow Food - deve partire da noi, dobbiamo informarci, studiare, sapere cosa mangiamo e cosa beviamo, bisogna investire in cultura, specie perché chi fa vino paga poche tasse, ed allora è bene che qualcosa venga reinvestito sui territori”.
Cultura e aspetti commerciali, in questo senso, sono le due colonne su cui poggia il futuro del vino italiano,
o meglio, “citando Platone, nell’antica Grecia l’aratro veniva tirato da due cavalli: per avere il solco dritto, che sia più produttivo, è necessario che i due cavalli vadano alla stessa velocità, in armonia. Il primo cavallo, in questa metafora, è la capacità di usare la tecnologia, il prodotto ed il commercio. Il secondo è la capacità di avere visione e cultura. Auguro al mondo degli enologi di saper usare bene i propri cavalli. Del resto - conclude Carlo Petrini - gli enologi esistono da quando esiste il vino. Una volta eravate medici, il vino faceva parte della farmacopea, poi siete stati farmacisti, per tanti anni siete stati al servizio dei principi e signori che volevano il miglior vino, oggi sono cambiati principi e signori, mentre molti di voi si sono riscattati da una realtà contadina attraverso la dimensione dell’enologo, che vi rende liberi. Non potete non essere artefici di un mutamente culturale, dovete stare in prima linea”.

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