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LA FIPPA E LE CITTA’ DEL PANE INSIEME PER ETICHETTA “FRESCO”. LA PETIZIONE POPOLARE IN 25.000 FORNI ITALIANI

Il pane come il latte: deve avere l’etichetta per differenziare quello fresco artigianale da quello conservato. E’ questo l’obiettivo della petizione popolare lanciata oggi nei 25mila forni italiani dalla Federazione italiani panificatori (Fippa) e la Città del Pane (47 città associate), per chiedere alle istituzioni di dare al consumatore la possibilità di scegliere tra due prodotti differenti a tutti gli effetti.
Pane apparentemente appena sfornato caldo al supermercato può essere invece surgelato, prodotto fuori dall’Italia, magari 3 anni prima, ma il consumatore ha l’illusione di comprarlo fresco. Eppure una distinzione doveva essere applicata già dal 2007 in base al Decreto Bersani, ma il regolamento non è stato mai emanato. “Il consumatore oggi non ha elementi per riconoscerne la differenza”, ha detto il presidente della Fippa Luca Vecchiato, secondo cui “l’unico effetto del Decreto è aver dato la possibilità di panificazione alla grande distribuzione organizzata, dove non tutti sanno però che il 10% del prodotto é fresco e che meno del 3% dei supermercati hanno forni”.
Secondo Vecchiato, quindi, basterebbe applicare per il pane quello che è stato fatto per il latte, denominando “pane fresco” quello che non ha subito congelazioni o altri metodi di conservazione (che corrisponde oggi a meno del 70% della panificazione totale, contro il 95% di qualche anno fa) e “pane conservato” gli altri tipi, indicando metodo di produzione, modalità di conservazione e consumo. Il presidente di Città del Pane Maurizio Marchetti ha ricordato che in Italia esistono 200 specialità, di cui appena 1 dop e 3 Igp, con prezzi che possono essere superiori del 20%-30%. “E’ un patrimonio che manca di tutele adeguate - ha detto - il cui prezzo può essere mediamente del 20%-30% in più rispetto a quello conservato”.

Focus - Fippa: pane fresco in gdo? Spesso un’illusione
La baguette calda della domenica che si trova nei banconi di tanti supermercati? Spesso un’illusione che sia fresca e prodotta sul momento, perché appena il 3% della grande distribuzione ha forni per la preparazione di pane artigianale, quello che può durare anche una settimana e non poche ore. Parola della Federazione italiana panificatori (Fippa) e delle Città del Pane, unite per la tutela del pane fresco, quello che “ha vita dalla notte precedente al momento dell’acquisto e che viene certificato dalla persona che lo vende”.
“C’è una bella differenza tra il pane fresco - spiega il presidente della Fippa, Luca Vecchiato - e quello che viene prodotto chissà quando e chissà dove, magari in Ucraina e che, seguendo la catena del freddo a -20, viene convenientemente spacciato per un prodotto appena sfornato nei banconi della grande distribuzione organizzata”. Nessuna critica, ma secondo Vecchiato, il consumatore deve sapere quello che compra; oggi, infatti, l’etichetta di definizione indica solamente dove è stato terminato di cuocere, ma non dove è stato fatto e soprattutto da chi.
E in attesa di un’etichetta chiarificatrice, il consumatore come può capire se il pane è fresco o conservato? “Al primo impatto il pane caldo sembra davvero appena sfornato, con un sapore molto piacevole - afferma il presidente di Città del Pane Maurizio Marchetti - ma via via che passano le ore qualità, fragranza e gusto si perdono”. Per la risposta, secondo Marchetti, basta andare ad indagare come viene prodotto e con quali ingredienti, perché alcuni tipi di pane artigianale rimangono morbidi anche per 7 giorni.

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