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“LA PRESSIONE SPESSO NON SOSTENIBILE DELLE ATTIVITÀ UMANE SULL’AMBIENTE DETERMINA IL “LAND DEGRADATION”: UNA RIDUZIONE DELLA PRODUTTIVITÀ AGRICOLA ED UNA PROGRESSIVA PERDITA DI BIODIVERSITÀ”. A DIRLO MARIA LUIGIA GIANNOSSI, RICERCATRICE DEL CNR

“La pressione spesso non sostenibile delle attività umane sull’ambiente sta determinando una riduzione della produttività biologica ed agricola ed una progressiva perdita di biodiversità degli ecosistemi naturali”. A lanciare l’allarme “land degradation” è Maria Luigia Giannossi, ricercatrice dell’Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale del Cnr. Nel Paese, infatti, il fenomeno della cosiddetta “land degradation” colpisce in maniera significativa le regioni meridionali e insulari (Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia).

“Anche le regioni del centro nord, in particolare Toscana, Emilia Romagna e la Pianura Padana in generale - aggiunge Giannossi - manifestano un peggioramento della situazione idrometeorologica e sono sempre più vulnerabili all’irregolarità delle precipitazioni, alla siccità ed all’inaridimento”. I dati a livello mondiale sono preoccupanti: “circa 2 miliardi di ettari delle terre emerse sono interessati a diversi livelli da processi di degrado - continua la ricercatrice - compromettendo ben l’84% delle aree agricole a livello mondiale e coinvolgendo circa un quarto della popolazione del globo”. In cosa consiste la “land degradation”? Il fenomeno è il risultato del contributo sinergico di alcuni fattori naturali predisponenti che includono il regime climatico e le caratteristiche di suolo e vegetazione e di un’impropria gestione del territorio da parte dell’uomo. In particolare, nel caso dei Paesi economicamente avanzati, i fattori antropici rappresentano la principale causa di espansione dei fenomeni di degrado (sviluppo urbano e industriale, crescita del settore turistico, attività agricole non sostenibili. La necessità di fermare o prevenire i processi di degrado ha sollecitato la comunità scientifica internazionale a fornire strumenti interpretativi dei fenomeni di degrado, per comprenderne meglio i fattori predisponenti e le loro interazioni e supportare i decisori nella scelta delle più adeguate soluzioni di mitigazione o recupero. Il degrado delle terre è stato catalogato tra le maggiori emergenze socio-ambientali del XXI secolo con implicazioni dirette e indirette su sicurezza alimentare, cambiamento climatico, guerre legate allo sfruttamento delle risorse naturali e conseguente presenza di ecorifugiati. In Italia, nell’ambito degli studi promossi dall’Imaa (Istituto di Metodologie ed Analisi Ambientali) Cnr, sono stati realizzati tre progetti, di cui uno in corso, con l’obiettivo di realizzare studi integrati per il monitoraggio del fenomeno della “land degradation” nelle regioni meridionali in particolar modo in Basilicata e per il sostegno alle metodiche di salvaguardia delle risorse naturali (suoli e acque). Dai risultati osservabili risulta che la Basilicata è particolarmente interessata dal rischio land degradation. Tra i processi di degrado a cui è soggetta la Basilicata, il fenomeno dell’erosione del suolo con sviluppo delle tipiche forme morfologiche (calanchi) e il fenomeno di degrado di origine chimico (salinizzazione). Questi fenomeni lucani “sono stati studiati con tecniche integrate in situ e di remote sensing al suolo e da satellite per quantificare la gravità e l’impatto dei fenomeni di land degradation - spiega Giannossi - I punti di innovazione del progetto sono da ricercarsi nella valutazione di tutte le geomatrici ambientali colpite dal fenomeno, nell’utilizzo di tecniche integrate e nella valorizzazione delle competenze degli stakeholder locali per la mappatura del degrado del territorio e per la valutazione de corretta gestione sostenibile del territorio”. I nuovi studi dedicati al fenomeno verranno illustrati a Pisa in occasione di Geoitalia 2013, dal 16 al 18 settembre, iniziativa organizzata dalla Federazione Italiana di Scienze della Terra.

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