Le tensioni tra Ucraina e Russia non accennano ad allentarsi. Al contrario, i missili di Mosca su Mykolaiv, appena ieri, hanno ucciso Alexey Vadatursky, fondatore e ad della Nibulon, la più grande compagnia ucraina di commercio di grano del Paese. Da cui, grazie all’unico spiraglio aperto negli oltre cinque mesi di guerra, poche ore fa è finalmente partito il primo carico di grano ucraino, che ha lasciato il porto di Odessa attorno alle 7.30 italiane, come previsto dall’accordo firmato a Istanbul il 22 luglio da Russia e Ucraina con la supervisione di Turchia e Onu. “La nave Razoni - ha comunicato il Ministero della Difesa turco - è partita dal porto di Odessa diretta al porto di Tripoli in Libano. È attesa per il 2 agosto a Istanbul. Proseguirà il suo viaggio verso la sua destinazione dopo le ispezioni che saranno effettuate a Istanbul”.
Nelle prossime settimane partiranno altre 16 navi, mentre al Razoni, “che batte bandiera della Sierra Leone, si sposterà sul corridoio la cui sicurezza è stata confermata dai nostri partner e garanti, l’Onu e la Turchia e trasporta 26.000 tonnellate di mais ucraino”, spiega il Ministro delle Infrastrutture ucraino, Oleksandr Kubrakov. “L’Ucraina è il quarto più grande esportatore di mais al mondo, quindi la possibilità di esportarlo attraverso i porti è un successo colossale nel garantire la sicurezza alimentare globale: oggi l’Ucraina insieme ai suoi partner fa un altro passo avanti per prevenire la fame nel mondo. Lo sblocco dei porti fornirà all’economia almeno un miliardo di dollari di entrate valutarie e un’opportunità per il settore agricolo di pianificare il prossimo anno”.
Lo sblocco del commercio di grano e mais ucraino è una buona notizia anche per il Belpaese, come sottolinea il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, “perché solo con la ripresa a pieno regime delle esportazioni dal porto di Odessa il rischio di una crisi alimentare globale potrà essere scongiurato”. Circa 20 milioni di tonnellate di grano, per un valore che sfiora i 10 miliardi di euro, potranno così essere collocate sui mercati internazionali. Secondo i dati della Commissione Ue, le esportazioni agroalimentari dell’Ucraina sono ammontate lo scorso anno a 23,6 miliardi di euro, e circa il 90% delle operazioni è stato effettuato via mare. “Le partenze dal porto di Odessa hanno inciso per il 60% sul totale”, evidenzia Giansanti. E sempre secondo i dati della Commissione UE, oltre l’80% delle esportazioni agroalimentari dell’Ucraina è costituito da cereali e semi oleosi. Per quanto riguarda l’Unione europea, le importazioni di cereali ucraini rappresentano il 36% di tutte l’import del settore. La Commissione ha reso noto nei giorni scorsi che, per quanto riguarda in particolare il mais, il prodotto ucraino rimasto bloccato nei porti a causa della guerra, è stato sostituito dal mais raccolto in Brasile, Canada e Stati Uniti.
“Si tratta di Paesi - sottolinea il presidente della Confagricoltura - dove prevale un atteggiamento positivo nei confronti delle innovazioni tecnologiche a supporto della produzione e dell’efficienza delle imprese. A livello europeo, invece, nella migliore delle ipotesi dovremo attendere fino al 2025 per ottenere l’inquadramento normativo delle nuove tecniche genomiche che consentono di salvaguardare le produzioni con una minore pressione sulle risorse naturali, a partire dall’acqua. A seguito della guerra in Ucraina, lo scorso anno la Commissione europea ha consentito di derogare alle norme in vigore per aumentare la produzione di cereali, semi oleosi e colture proteiche. Le deroghe sono state prorogate anche quest’anno, anche a fronte a una siccità che ha tagliato le rese dei cereali con punte fino al 35% in Italia. A questo punto, dovrebbe essere evidente a tutti che gli agricoltori e i consumatori non hanno bisogno di deroghe ripetute e temporanee, bensì di un complessivo ripensamento della politica agricola comune, nell’ottica della sicurezza alimentare e della sostenibilità ambientale supportata dalla ricerca e dalle innovazioni”, conclude Giansanti.
In questo frangente, la partenza delle navi di cereali sul Mar Nero è importante anche per salvare le stalle del Belpaese, in una situazione in cui l’Ucraina, con una quota di poco superiore al 13% per un totale di 785 milioni di chili, è il secondo fornitore di mais dell’Italia, che è costretta ad importare circa la metà del proprio fabbisogno per garantire l’alimentazione degli animali negli allevamenti, come ricorda la Coldiretti.
Un commercio particolarmente importante per l’Italia in cui senza precipitazioni rischiano di dimezzare i raccolti nazionali di foraggio e mais destinati all’alimentazione degli animali a causa del caldo e della siccità che - sottolinea la Coldiretti - hanno colpito duramente la Pianura Padana dove si concentra 1/3 della produzione agricola nazionale e circa la metà degli allevamenti dai quali nascono formaggi e salumi di eccellenza made in Italy. Una situazione che - continua la Coldiretti - insieme al blocco delle forniture dall’Ucraina ha determinato preoccupazioni per gli approvvigionamenti ma anche forti rincari in una situazione in cui i costi di produzione nelle stalle italiane sono cresciuti del 57% secondo il Crea, mettendo in ginocchio gli allevatori nazionali. L’Ucraina garantisce invece appena il 3% dell’import nazionale di grano (122 milioni di chili) mentre sono pari a ben 260 milioni di chili gli arrivi annuali di olio di girasole, secondo l’analisi su dati Istat relativi al commercio estero 2021.
La ripresa del passaggio delle navi cariche di cereali sul Mar Nero è importante anche per combattere la carestia in ben quei 53 Paesi dove. secondo l’Onu, la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. Un importante contributo alla stabilità politica proprio mentre - sostiene la Coldiretti - si moltiplicano le tensioni sociali ed i flussi migratori, anche verso l’Italia. “L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni”, commenta il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, nel sottolineare l’importanza di intervenire per contenere il caro energia ed i costi di produzione con misure immediate per salvare aziende e stalle e strutturali per programmare il futuro. “Occorre lavorare per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali ma - conclude Prandini - serve anche investire per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità, contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici”.
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