“Il modo in cui le risorse del suolo - suolo, acqua e biodiversità - sono attualmente mal gestite e utilizzate in modo improprio minaccia la salute e la sopravvivenza continua di molte specie sulla Terra, inclusa la nostra”. È l’allarme lanciato dal rapporto Onu “Global Land Outlook 2” sull’uso del suolo, da cui emerge il ruolo, tutt’altro che positivo, del sistema della produzione alimentare sul degrado delle terre, causando, ad esempio, l’80% della deforestazione e il 29% delle crisi climatiche, la quota massima di perdita della biodiversità. Inoltre, quello dell’agricoltura, oltre ad essere un settore economico decisamente disfunzionale, è anche strutturalmente squilibrato, già che il 70% delle terre coltivabili sono in mano all’1% delle aziende agricole. Ad oggi, l’uomo ha alterato il 70% del suolo su cui ha messo piede, e ne ha degradato fino al 40%, in tanti modi: la deforestazione, l’agricoltura intensiva, gli incendi, il consumo di suolo, l’inquinamento chimico del suolo, le guerre, la costruzione di infrastrutture.
Tornando ai numeri che riguardano il peso e l’impatto dell’agricoltura, il 40% delle superfici sono occupate dell’agricoltura; tra il 2013 e il 2019, per fare spazio a nuove superfici agricole, in violazione di ogni legge o regolamento, è stato disboscato più del 70% della foresta tropicale; l’80% delle aziende agricole ha dimensioni inferiori a due ettari, e rappresentano il 12% della superficie agricola totale. Per invertire la rotta, i leader del G20 nel novembre 2020 si erano dati l’obiettivo di ridurre del 50% le terre degradate entro il 2040, e 115 Paesi avevano assunto impegni quantitativi e territoriali entro la fine del 2021, impegnandosi a ripristinare 1 miliardo di ettari di fattorie, foreste e pascoli. Obiettivi ed impegni rafforzati, a novembre 2021, dal “Glasgow Leaders Declaration on Forests and Land Use”, confermando gli impegni, singoli e collettivi, delle tre Convenzioni di Rio: sulla desertificazione (Unccd, sulla diversità biologica (Cbd) e sui cambiamenti climatici (Unfccc), supportati da impegni senza precedenti di imprese e donatori. Compresi impegni per facilitare il commercio e le politiche di sviluppo che evitino la deforestazione e il degrado del suolo, in particolare per quanto riguarda i prodotti agricoli commercializzati a livello internazionale, come carne bovina, soia, olio di palma e legname.
“L’agricoltura moderna ha alterato la faccia del pianeta più di qualsiasi altra attività umana. Dobbiamo ripensare urgentemente ai nostri sistemi alimentari globali, che sono responsabili dell’80% della deforestazione, del 70% dell’uso di acqua dolce e della principale causa di perdita di biodiversità terrestre. Investire nel ripristino dei terreni su larga scala è uno strumento potente ed economico per combattere la desertificazione, l’erosione del suolo e la perdita di produzione agricola. Essendo una risorsa limitata e il nostro bene naturale più prezioso, non possiamo permetterci di continuare a dare per scontata la terra”, ha commentato il segretario esecutivo Unccd, Ibrahim Thiaw.
Lo studio Onu, quindi, definisce tre scenari futuri per il 2050. Nel primo, “Baseline”, continuano i trend attuali di degrado del suolo e delle risorse naturali, mentre la domanda di cibo, mangimi, fibre e bioenergia continua ad aumentare. Le pratiche di gestione del territorio e il cambiamento climatico continuano a causare una diffusa erosione del suolo, il calo della fertilità e la crescita dei raccolti e l’ulteriore perdita di aree naturali dovuta all’espansione dell’agricoltura. Entro il 2050 16 milioni di chilometri quadrati mostrano un continuo degrado del suolo (la dimensione del Sud America), si osserva un calo persistente e a lungo termine della produttività vegetativa per il 12-14% dei terreni agricoli, dei pascoli e delle aree naturali, con l’Africa Subsahariana che è la più colpita, tra il 2015 e il 2050 vengono emesse ulteriori 69 gigatonnellate di carbonio a causa del cambiamento di uso del suolo e del suo degrado.
Il secondo scenario è definito invece “Ripristino”: presuppone il ripristino di circa 5 miliardi di ettari (50 milioni di chilometri quadrati, o il 35% della superficie terrestre globale) utilizzando misure come l’agroforestazione, la gestione del pascolo e la rigenerazione naturale assistita (gli attuali impegni internazionali si sono dati un obiettivo inferiore, 10 milioni di chilometri quadrati). Da qui al 2050, così, i raccolti aumentano del 5-10% nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo rispetto alla “Baseline”, una migliore salute del suolo porta a raccolti più elevati, con i maggiori guadagni in Medio Oriente e Nord Africa, America Latina e Africa subsahariana, limitando l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Inoltre, la capacità di ritenzione idrica del suolo aumenterebbe del 4% nei terreni coltivati, con la pioggia, e tra il 2015 e il 2050 gli stock di carbonio aumenterebbero di “sole” 17 gigatonnellate nette grazie all’aumento del carbonio nel suolo e alla riduzione delle emissioni. La biodiversità continua a diminuire, ma non così rapidamente, con l’11% della perdita di biodiversità evitata.
Infine, il terzo scenario è quello definito “Ripristino e protezione”: questo scenario include le misure di ripristino, integrate da misure di protezione di aree importanti per la biodiversità, la regolamentazione delle acque, la conservazione del suolo e degli stock di carbonio e la fornitura di funzioni critiche dell’ecosistema. Entro il 2050: altri 4 milioni di chilometri quadrati di aree naturali (la dimensione dell’India e del Pakistan), maggiori guadagni attesi nel Sud e Sud-Est asiatico e in America Latina. Le protezioni impedirebbero il degrado del suolo mediante il disboscamento, l’incendio, il drenaggio o la conversione, si preverrebbe circa un terzo della perdita di biodiversità prevista nella “Baseline”, rispetto alla quale ulteriori 83 gigatonnellate di carbonio vengono immagazzinate. Le emissioni evitate e l’aumento dello stoccaggio del carbonio equivarrebbero a più di 7 anni di emissioni globali attuali totali.
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