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LA RIFLESSIONE

La risposta al climate change in vigna passa dallo studio del suolo, delle radici e dei portinnesti

Da Università ad imprese, il messaggio di “Terre di frontiera”, ad Enovitis in campo, a Borgo Tre Rose (Bertani) a Montepulciano, firmato Uiv

La presa di coscienza, ormai consolidata, che il cambiamento climatico è in atto, la convinzione crescente che cantine e produttori hanno gli strumenti per farvi fronte, la consapevolezza crescente che per guardare al futuro, salvaguardando qualità e tipicità dei vini del Belpaese è fondamentale indagare e conosce meglio aspetti fino ad oggi, per molti motivi, trascurati o non approfonditi a dovere, come il suolo, l’apparato radicale della vite ed i portinnesti, per continuare a produrre vini identitari, e capaci di coniugare al contempo sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Aspetto, quest’ultimo, fondamentale perché le imprese possano continuare ad investire in tutti questi aspetti. È il messaggio, in estrema sintesi, che arriva dal convegno “Terre di frontiera”, firmato da “Il Corriere Vinicolo” ad Enovitis in campo, fiera dedicata alle tecnologie in vigna di Unione Italian Vini (Uiv), di scena a Borgo Tre Rose, la cantina di Bertani Domains nella terre del Nobile di Montepulciano. “Territorio che merita più di quanto già ottiene - ha detto l’ad Bertani Domains, Emilio Pedron - ed anche per questo qui siamo in pieno sviluppo, con 120 ettari di vigneti quasi tutti rinnovati”.
La scelta del tema non è casuale, come sottolineato dal presidente Uiv, Ernesto Abbona: “le prime interessate alla sostenibilità sono le famiglie proprietarie delle cantine, noi viviamo nei nostri territori, sui nostri suoli, nelle nostre vigne. È una visione che va condivisa, incentivando la tecnologia che migliora la sostenibilità, l’industria e l’agricoltura, mix che da prospettiva e futuro a tante famiglie”. Come non è un caso che un tema così sia sviluppato in Toscana, “da sempre terra di innovazione” ha sottolineato Gennaro Giliberti, responsabile del settore agricolo della Regione Toscana, e che ha messo a confronto accademia ed imprese.

“Uno dei grandi temi è affrontare la sindrome del depauperamento del vigneto - ha sottolineato il professor Attilio Scienza, dell’Università di Milano -noi per tanti motivi, anche di natura agronomica, viviamo un trend di riduzione della superficie vitata, in Italia, che peraltro cresce al Centro Nord, nelle denominazioni più importanti, e diminuisce al Sud, con una vera a propria polarizzazione in questo senso. C’è un problema di età dei vigneti: sebbene si dica che quelli più vecchi danno le uve ed in vini migliori, la verità è che oltre la metà del nostro vigneto ha più di 20-30, impiantato secondo schemi e regole che oggi non vanno più bene, con vigneti con una grande variabilità interna, che penalizza la qualità, e anche antieconomici dal punto di vista produttivo. E parte delle cause di questo è che, per anni, non abbiamo studiato il suolo e l’apparato radicale della vite, che è il cervello della pianta, concentrandoci sulla parte che si vede in superficie. Oggi assistiamo alla ricerca del vivaismo, anche sulle varietà resistenti, alla modifica dei sesti di impianto, tendenzialmente più ampli che in passato, ma si sta studiando anche il problema della nutrizione organica e minerale della pianta, che è molto sottovalutato. Tutti elementi che si combinano con lo studio del suolo, che a livello di climate change e di riscaldamento, è l’elemento che subisce di più l’aumento delle temperatura, e dove pochi gradi cambiano radicalmente la vita di piante, insetti, batteri e funghi che lo abitano, e che sono fondamentale per quello che succede in vigneto”.

Altro elemento trascurato, e invece fondamentale, è il portinnesto, ha sottolineato Lucio Brancadoro, docente di Agraria dell’Università di Milano, “elemento che regola le fasi fenologiche della vita, l’apporto di acqua e così via. Su questo fronte, sostanzialmente, fino a pochi anni fa siamo stati fermi per oltre un secolo. Invece diversi studi hanno dimostrato che il portinnesto definisce l’attività fotosintetica, fornisce acqua alla pianta, cambia drasticamente le risposte della pianta, alle condizioni climatiche, ha un peso determinate su sviluppo vegetativo, produzione, qualità dell’uva, e quindi è un elemento non solo da scegliere con attenzione, tra quelli disponibili e quelli di nuova generazione come quelli della serie “M” messi a punto dall’Università di Milano, ma anche da sviluppare ancora. Anche perché, se è cambiato tutto il resto, nel vino e nelle viticoltura, perché rimanere ancorati a materiale genetico di altri tempi?”.

Una provocazione, come lo è quella di Diego Tomasi (Crea di Conegliano): “oggi non possiamo più fidarci del clima, l’andamento climatico anomalo frequente delle ultime annate ce lo dice. E quindi possiamo agire solo sul suolo e sui vitigni, e sull’interazione tra questi due elementi, per migliorare la qualità del vino e della viticoltura. Partendo dalla consapevolezza che il suolo non è solo una superficie che si irriga e su cui applichiamo concimi e così via, ma un sistema fatto di tanti elementi, ed estremamente fragile. E tenendo conto che la vocazione di un terreno o di un suolo non è fissa e immutabile, se non si lavora bene”. Perché in fondo, io suolo, ha sottolineato l’agronomo Edoardo Costantini, “il suolo è un sistema ecologico complesso e dinamico, e fare viticoltura di terroir vuol dire accudire un territorio, non una pianta”. Altro aspetto fondamentale, per il futuro, è quello di lavorare sul miglioramento genetico, e sulle varietà resistenti, ha aggiunto il direttore del Crea, Riccardo Velasco.

Indicazioni del mondo scientifico, che spesso le imprese hanno messo già in pratica, anche recuperando saperi del passato, come hanno raccontato Michele Brani, responsabile agronomico di Frescobaldi, Andrea Bencini, agronomo di Antinori, Andrea Faustini, enologo di Cavit. E che vanno in una direzione, come sottolineato dall’ad di Bertani Domains, Emilio Pedron: “il cambio cliamatico è in atto, e dobbiamo reagire, capendo come. C’è bisogno di sostenibilità, ambientale, ma anche economica, perché i conti alla fine dell’anno devono quadrare. Ma dobbiamo mettere in campo tutti gli strumenti e le conoscenze per produrre uve sempre più capaci di essere uniche e tipiche, e vini identitari e riconoscibili”. Nonostante il cambiamento climatico.

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