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LA STAMPA

Boom dei terreni e prezzi record, bottiglie come tesori nei caveau: caccia all'acquisto di cru nelle aree vocate, mentre il Sud diventa la California italiana ... Le recenti, grandi, performance del vino italiano, doc e docg, portano a trasformazioni importanti nelle aree più vocate alle produzioni vitivinicole di alte qualità. Trent´anni fa ad esempio un ettaro di vigneto coltivato a Chianti costava sui tre milioni di lire e oggi vale 80-100 volte tanto, ossia 150 mila euro (300 milioni circa delle vecchie lire). Ma il boom dei terreni è praticamente generale: il valore dei fondi agricoli segue quello del vino, dalle Langhe alla Sicilia, dalla Franciacorta all´Alto Adige, da Montefalco al Salento. In tutte queste aree la richiesta di vigneti doc supera di molto l´offerta, spinta anche dalla passione per l´enologia, che ha contagiato «vip» come Sting, Ferragamo o Cragnotti. A questo punto i vignaioli di professione, basati in regioni d´eccellenza come Toscana, Piemonte, Friuli, Veneto cercano nuove strade e si spostano verso le aree emergenti del Sud. E´ l´esempio di Gianni Zonin che, dall´alto dei suoi 1800 ettari di vigneti, è stato il primo a comprendere la potenzialità del Meridione, in particolare di Puglia e Sicilia. Nell´isola ha appena inaugurato il suo «Feudo Principi di Butera» con tre vini già ultrapremiati dalle guide: Cabernet, Merlot, Nero d´Avola. In Puglia, invece, Zonin ha le masserie Conti Martini-Carissimo, oggi con 40 ettari di vigneto, ai quali presto se ne aggiungeranno altri 60. E´ l´area del Primitivo di Manduria e di vitigni come il Negroamaro e l´Aglianico. A convincere Gianni Zonin a scommettere sul Mezzogiorno sono state proprio le grandi potenzialità dei vitigni autoctoni. «Al Sud - dice l´imprenditore veneto - oggi è possibile produrre vini in linea con le nuove richieste dei consumatori, sempre più orientati verso rossi corposi e ben strutturati, che si avvicinano come gusto a quelli prodotti nei Paesi emergenti, ad esempio Australia e Cile». Ma, visto il boom delle quotazioni, sorge spontanea una domanda: di quanto si rivaluta il vino che abbiamo in cantina? Lo abbiamo chiesto a Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredito, il quale non ha dubbi: «Anche se il vino è soprattutto piacere e passione, le etichette più pregiate possono trasformarsi in un´importante occasione di investimento. Ma vi sono alcune regole da rispettare. Affinché ogni immobilizzo di capitale in bottiglie possa generare profitti occorre che il loro contenuto possieda quattro caratteristiche: altissima qualità, capacità di durare nel tempo, notorietà e richiesta di mercato, rarità». Qualche esempio lo possiamo ricavare da un´inchiesta di «WineNews», tenendo presente che i casi citati sono al top per fama, rarità o qualità gustativa: in sostanza, le blue-chips del vino. Queste superetichette hanno una percentuale di rivalutazione, dal valore nell´anno d´uscita in commercio e in enoteca al valore attuale sempre in enoteca, del 500% con punte anche del 1000%, per un periodo di cinque, sei anni. «Ma attenzione - ammonisce Marco Caprai, produttore leader del Sagrantino di Montefalco -, queste percentuali da "ottimo investimento" sono raggiunte soltanto da prodotti di aree classiche o storiche: Montalcino, Langhe, Chianti classico, Valpolicella. Oppure quelle di comprovata crescita negli ultimi anni, come la Doc Bolgheri». Ecco un paio d´esempi: Brunello di Montalcino Biondi Santi Riserva 1990: 215 mila lire il valore nell´anno di uscita, 775 euro valore attuale in enoteca, con un incremento del 598%. Barbaresco Gaja Sorì Tidlin 1989 (100 mila lire - 465 euro, incremento 800%). Come si può investire in vino? «Gli imprenditori della filiera vitivinicola - spiega Fabrizio Palenzona - stanno manifestando attenzione per alcune tipologie di prodotti finanziari innovativi, con vendite en primeur incorporate. In particolare assumono rilevanza i certificati di acquisto (che vengono solitamente definiti wine future), le wine option, i certificati ad esercizio multiplo. Sul mercato italiano esistono oggi tre prodotti bancari mirati al vino, promossi da Mediobanca e Meliorbanca. Insomma - conclude Fabrizio Palenzona - il rapporto tra banche e vino non è più fatto solo di prestiti, ma anche di consulenza e promozione, di assistenza nei processi di commercializzazione all´estero, di utilizzo di canali e strumenti finanziari sofisticati».

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