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LA STAMPA

La crisi arriva tra i filari ... La vendemmia parte prima ma l’uva sta meglio del vino ... Un anno senza parassiti e con poche grandinate. Pessimismo sulle quotazioni delle bottiglie ... L’orso che a Wall Street è il simbolo dei mercati stanchi e in letargo, si sta aggirando anche tra i settecentomila ettari di vigne italiane, dal Trentino alla Puglia, dal Piemonte alla Sicilia. La vendemmia è iniziata a tutte le latitudini con una forte preoccupazione: a che prezzi andranno le uve? Terranno le quotazioni oppure vincerà la speculazione al ribasso il cui tam tam percorre già tutta la Penisola? Voci di cantine ancora piene del vino della scorsa annata e di difficoltà finanziarie si rincorrono confermate da quotazioni mormorate di vini ceduti all’ingrosso attorno a poche decine di centesimi a litro.

Naturalmente la mappa dei vitigni tiene già conto delle “gabbie varietali” ampiamente diffuse in viticoltura con forti differenze tra uve di territori, origini e immagine diverse.

“I segnali dal mercato non sono confortanti, ma non bisogna neppure esagerare con il pessimismo, le scelte di qualità e i consumi tengono anche se ovviamente tutti stanno molto più attenti ai prezzi. Se le locomotive non deragliano anche i vagoni viaggiano” commenta Giuseppe Martelli dal suo doppio osservatorio privilegiato di presidente del Comitato nazionale delle denominazioni di origine e di direttore dell’Assoenologi.

Martelli sta elaborando le rilevazioni che gli arrivano dalle sezioni regionali degli enologi per tracciare la consueta mappa delle previsioni della vendemmia. La raccolta anche quest’anno si presenta anticipata almeno di una decina di giorni, senza però arrivare al torrido ricordo del 2003. In generale le uve sono sane, hanno subito pochi attacchi di parassiti e anche la grandine è stata finora clemente. Si è già cominciato con quelle ad acino bianco: chardonnay, pinot, vermentino, moscati per spumanti. Il dato comune è la buona qualità dei grappoli e la discreta quantità che dovrebbe confermare una produzione nazionale attorno ai 45-46 milioni di ettolitri di vino. Ma quest’anno il tema non è la consueta sfida con la Francia per il primato di nazione maggiore produttrice al mondo.

L’attenzione è tutta spostata sui prezzi e sugli equilibri di mercato. Oggi a Isola d’Asti si riunirà la commissione paritetica che dovrà stabilire il prezzo delle uve moscato, principale esempio italiano di filiera governata. Al tavolo i rappresentanti delle Case spumantiere dell’“Asti” (75 milioni di bottiglie per l’80% esportate) e dei produttori di uva (poco meno di un milione di quintali). Grandi cifre destinate a far da termometro all’intero comparto vitivinicolo piemontese. Il prezzo dell’anno scorso fu di 9,95 euro a miria (la tradizionale misura di dieci chili), poco sotto il muro di un euro al chilo d’uva. L’assessore regionale Mino Taricco tenterà una mediazione tra la proposta industriale di limare di almeno un dieci per cento il costo della materia prima e la risposta negativa di Giovanni Satragno, presidente dell’Associazione dei vignaioli: “Il mondo agricolo in tutti questi anni ha già ampiamente fatto la sua parte, nella filiera produttiva non è giusto scaricare le difficoltà sul primo anello della catena che si spacca la schiena nelle vigne”.

Il rischio del libero mercato, sempre in Piemonte, sta spingendo le uve barbera a prezzi molto compressi: solo per le partite migliori si supereranno l’1,5/2 euro al chilo. Per il resto si naviga a vista e c’è chi vorrebbe far ricomparire lo spettro della distillazione. Per i nebbioli le uve madre dei grandi rossi dal Barolo al Barbaresco le quotazioni di 4 euro e oltre al chilo d’uva non saranno facili da difendere.

“L’export è in frenata soprattutto per i vini d’alta gamma. Nel primo trimestre del 2009 è calato del 9% in valore, considerando che aveva raggiunto i 3,5 miliardi di euro” annota ancora Martelli che ricorda come l’intero comparto valga un fatturato di oltre 13 miliardi di euro ai quali aggiungere il dinamico e tecnologico indotto dell’enomeccanica.

Anche in Franciacorta la raccolta prosegue con un occhio al mercato. Maurizio Zanella, patron della “Ca’ del Bosco” e neo presidente del Consorzio ha spinto e ottenuto una riduzione delle rese da 100 a 95 quintali ad ettaro per evitare sovrapproduzioni. Dal Trentino e dalla Toscana stanno partendo mail ottimistiche a firma dei maggiori produttori per contrastare il pessimismo dei numeri. Diego Planeta della siciliana cantina Settesoli affida al sito “Winenews” il grido d’allarme dei prezzi che potrebbero scivolare ancora verso il basso soprattutto per le produzioni massificate in mano alle grandi cooperative. “E la campagna anti alcol che non distingue il vino dai superalcolici da sballo non ci aiuta”.

“Il nostro è un settore vitale per l’economia e non si può prenderlo a schiaffi così” è il leit motiv tra i produttori. “Tra l’altro svolgiamo un ruolo importante anche a livello ambientale - aggiunge Mariano Murro, enologo delle cantine Argiolas, tra le più blasonate della Sardegna - se le vigne rendono ne beneficia tutto il territorio”.

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