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La storia del “vino dei Papi” unita alla modernità della viticoltura di precisione per il rilancio del territorio: ecco il messaggio del convegno promosso da “Orvieto DiVino”. E che vale per il vino di Orvieto e per quello di molti territori d’Italia

Italia
La zonazione di Orvieto di Masnaghetti

Partire dalla “zonazione” di un territorio la cui storia vinicola affonda le radici nel Medioevo, e che è stato “il vino dei Papi”, per rilanciarne il futuro, dopo un presente poco brillante, anche attraverso l’apertura alla modernità, all’innovazione alla viticoltura di precisione. Ecco, in estrema sintesi, il messaggio lanciato oggi, a Orvieto, nel convegno promosso da “Orvieto DiVino”, il progetto di marketing territoriale che vede insieme la Regione Umbria (che lo finanzierà con 1,5 milioni di euro in tre anni, ndr), le cantine di Orvieto, che dovranno fare la loro parte per il sostegno di una produzione che si attesta sui 14 milioni di bottiglie - il 75% delle quali all’export - e il Consorzio, che rappresenta oltre il 90% dei produttori.

Rilancio di un territorio che passa “per la sua bellezza che è nella grande varietà di zone che racchiude, anche solo analizzando quello dell’Orvieto Classico”, ha spiegato Alessandro Masnaghetti, uno dei maggiori esperti di zonazione “divulgativa” del vino italiano, alla guida della casa editrice specializzata Enogea.

“Mappare un territorio, secondo il mio approccio, vuol dire partire dal paesaggio, poi dalla toponomastica e dalla geologia. Il paesaggio è il punto di partenza per divulgare, perché è la cosa più immediata da spiegare, mi piacerebbe che chi legge le mie cartine si ritrovasse subito nel territorio. Ed è anche la cosa più semplice da descrivere, perché una collina è una collina. Poi serve la storia, e la toponomastica la racconta moltissimo. E poi viene la geologia, che studia i terreni. E che è fondamentale per un approccio produttivo alla zonazione, anche se spesso ha troppa enfasi, perché nella produzione del vino conta il suolo, ma anche l’esposizione, la densità di impianto, la fauna circostante e così via.

In ogni caso, quella dell’Orvieto, sebbene sia una zona ampia, si presta ad una prima divisione semplice, perché c’è una valle centrale, quella del Paglia, che poi confluisce verso sud in quella del Tevere, quindi già abbiamo una zona est e una ovest, una sorta di riva destra e sinistra di Bordeaux. Quindi, per l’Orvieto classico, si può parlare di versante Orientale, fatto di 3 macrozone, e quello Occidentale, in 3 zone, che poi si possono suddividere nel dettaglio in altre microzone produttive più dettagliate. Una varietà che fa la bellezza dell’Orvieto, ed i produttori devono esserne coscienti, orgogliosi e capaci di valorizzarle e raccontarle. Discorso che vale per i produttori di vino di ogni territorio, che dovrebbero vedere e conoscere meglio di quanto fanno il loro territorio intero, non solo la loro zona ristretta di produzione. Ma succede il contrario anche in territori storici, ed è un errore enorme. Ed è quello che spero di aiutare ad evitare con il mio lavoro”.

Una diversità “geografica”, quella dell’Orvieto, che può essere valorizzata anche con tipologie specifiche di prodotto, come quella dei vini dolci, soprattutto con i “vendemmia tardiva, o con il muffato, che qui si produce già dal 1933, ma anche passito o vin santo. E in questo senso proporremo un nuovo protocollo di produzione tra vigna e cantina da sperimentare per il futuro, anche con dei prototipi tecnologici”, ha detto Fabio Mencarelli, docente dell’Università della Tuscia.

Ma di certo, Orvieto, come tutti i territori deve affrontare il tema del riscaldamento climatico, come ha spiegato il professor Riccardo Valentini, del Centro Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. Un fenomeno che “non si può arginare, ma si può gestire. La concentrazione di Co2 oggi è di 401 parti per milioni, prima del 1900 eravamo a 280, ed il trend di crescità è veloce, e per esempio se il 2015 è stato l’anno più caldo dal 1880, già sappiamo che il 2016 sarà il nuovo anno più caldo del secolo, ogni anno superiamo un record”. Per far fronte a questo aspetto, che impatta fortemente sul vigneto, è fondamentale dotarsi di modelli previsionali sempre più precisi e a lungo teremine: “abbiamo fatto diversi studi che si basano su “Big data analisystic” che permettono proiezioni climatiche regionali e nazionali - ha spiegato Valentini - utili per prevedere precipitazioni o bollettini per poi intervenire in cantina e sui vigneti. Anche grazie al cosiddetto “internet delle cose”, sempre più presente non solo nella nostra vita quotidiana, ma anche tra vigneti e cantine, con sensori, applicazioni e computer che “si parlano” scambiando una vera miniera di risorse informative utilissime ai produttori di vino”.

Insomma, la modernità per guardare al futuro. Ma per affrontarlo bene, il futuro, “è bene dare un’occhiata al passato, soprattutto per i giovani - ha detto il professor Attilio Scienza dell'Università di Milano, tra i massimi esperti di viticoltura al mondo - perché chi non conosce il passato è costretto a ripercorrerlo. Ad Orvieto il vino nasce nel medioevo, come in tanti altri casi, sul percorso della Via Francigena, che era fondamentale per i commerci. Un territorio che è stato florido per secoli, ma poi nel 1900, dopo la seconda guerra mondiale, è entrato in crisi, perché vini come quelli prodotti qui, tendenzialmente ossidativi, non avevano più mercato. Allora si sono cambiate varietà di uva, puntando su quelle più produttive, su tecniche spesso di forzatura, ma si è persa identità. Che oggi va recuperata, e anche migliorata. Nell’Orvieto il consumatore deve identificare un vino con una precisa identità ed il produttore deve garantire che questa identità sia costante. E per farlo servono investimenti in qualità. E a questi si arriva, però, solo recuperando la redditività che i viticoltori italiani negli anni stanno perdendo, e migliorare la qualità delle uve anche riducendo i costi di produzione. E questo è possibile solo con la tecnologia e la viticoltura di precisione, che consente di monitorare ogni singola vite ed intervenire in modo puntuale, anche per porre rimedio a quello che è un problema dei vigneti non solo di Orvieto, ma di molti territori d’Italia, ovvero quello della grande variabilità, dove fianco a fianco si trovano viti che producono quantità troppo diverse di uva. Lavorare con gli strumenti moderni vuol dire arrivare ad una maggiore omogeneità, che consente di produrre di più in quantità senza perdere in qualità, o addirittura migliorandola”.

“Ed è quello che sta accadendo in molte parti del mondo, che riescono ad aggredire i nostri mercati pur senza avere la nostra storia - ha concluso Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi e alla guida del comitato scientifico di Orvieto DiVino - ma che sono aperti alla tecnologia. Che non è roba da fantascienza, ma di normale applicazione, e con costi decisamente accessibili. Sul territorio andremo alla ricerca di aziende disponibili a fare sperimentazioni con comitato Orvieto diVino, che poi andremo a condividere con tutti. Abbiamo tanto da fare. E se non lo facciamo noi, nessuno lo farà per noi. Vedo uno spirito di grande partecipazione del territorio, e questo mi fa bene sperare per il futuro. Anche perché se questo territorio non lo rilanciamo ora, non lo faremo più”.

Anche perché, ha spiegato l’Assessore all’Agricoltura della Regione Umbria, Fernanda Cecchini, “tra Ocm Vino e Psr le risorse per i cofinanziamento pubblico ci sono, e sono tante, e voi produttori, anche facendo squadra e rete tra di voi, avete davanti delle possibilità da non lasciarsi scappare. Anche perché se penso al vino, ma anche all’olio e all’agricoltura di qualità, penso a quello che è l’Umbria migliore, legata anche al paesaggio, all’arte e alla sua storia. Un mix che diventa ancora più significativo ed importante in questi giorni, dopo il terremoto che ha colpito Norcia e dintorni, dove proprio intorno a questi valori e a questi prodotti nasce la forza per non abbandonare i territori”.

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