Una tradizione che resiste nonostante tutto. La sera della Vigilia e la notte di San Silvestro non mancherà il pesce nel menù degli italiani. Sarà presente in due tavole su tre anche se in misura minore rispetto al 2019, la spesa media a nucleo familiare è infatti scesa a 70 euro rispetto ai 90 dello scorso anno. Dunque, onostante la stretta sugli spostamenti, le usanze non cambiano. Ma cosa mangeremo? Per 15 milioni di famiglie la scelta del menù sarà orientata a ricette povere della tradizione: il tonno e il baccalà sono i più gettonati ma anche l’orata mantiene intatto il suo appeal. Si “pesca” sul sicuro e con un occhio di riguardo per la semplicità nella preparazione dei piatti. La “coda” natalizia è a suo modo un toccasana per il settore ittico che paga un 2020 difficile. Dall’analisi PescAgri, l’Associazione Pescatori Italiani, promossa da Cia - Agricoltori Italiani, viene stimato un calo del fatturato di oltre il 40% a fine anno, un “segno rosso” le cui motivazioni sono dovute ad una eccedenza di prodotto ma anche al calo dei prezzi causato, soprattutto, delle restrizioni su ristoranti, catering e hotel. Le limitazioni numeriche alle tavolate delle feste (rigorosamente a casa) si ripercuoterà nei carrelli degli italiani che saranno più leggeri visto che per le spese di Natale e Capodanno non si andrà oltre la soglia dei tre chilogrammi di prodotto acquistato.
Sceglieremo la qualità, meno pesce ma più fresco e più buono, andremo sui piatti tipici della Vigilia e quindi, sulle coste italiane, quelli più legati alla cucina a base di pesce locale e per ricette elaborate, mentre nell’entroterra si prediligeranno quelle più essenziali, con prodotto fresco e trasformato. Baccalà e tonno, ma anche alici, sarde e sgombri, orate e spigole avranno la maggiore sul pescato più pregiato. Molluschi e crostacei, protagonisti delle feste in ristoranti e hotel, vivranno, invece, un serio calo.
PescAgri/Cia - Agricoltori Italiani cita i dati del Mercato Ittico all’ingrosso di Chioggia, la più grande Marineria d’Italia, che oggi conta due sole giornate di lavoro a settimana quando, soprattutto a fine anno, prima del Covid, si è sempre lavorato senza sosta. Ne sono conseguenza le perdite importanti, già registrate a novembre, in termini di volumi del prodotto locale: crostacei (-31%), pesce bianco (-17%) e molluschi (-5%) che reggono meglio. Quanto al valore, il pescato di Chioggia (pesce azzurro e bianco) è già a -22% per il solo mese di novembre rispetto al 2019. Che non andrà bene al mercato dei crostacei lo si intuisce dal dato sull’import con l’Italia sprovvista, per esempio, di aragoste e astici: rispetto al 2019, i crostacei a novembre hanno fatto in termini di volumi un -78%. Il quadro nazionale si attesta più o meno sulle stesse cifre e mette in guardia sul rischio per il fresco e il Made in Italy. Il settore ittico perderà con le sole festività 300 milioni di euro di fatturato (-25%). “Difficile - aggiunge PescAgri/Cia, - pensare poi a cenoni ristretti per Capodanno, ma esclusa la ristorazione, per gli oltre sei milioni di italiani abituati a mangiar fuori il 31 dicembre, sarà comunque inevitabile la cucina di casa. Davvero a poco servirà quel 15% di consumatori propensi al menù take away. Questo trend vale complessivamente 5 miliardi, mentre le restrizioni imposte all’Horeca, hanno tolto finora al settore alimentare, quasi 41 miliardi. Infine va da sé che la crisi economica, le restrizioni sugli spostamenti per il Covid e le chiusure dei ristoranti, influiranno in negativo sulla domanda di pesce fresco e locale, a vantaggio di quello spesso più competitivo di importazione. Agli italiani chiediamo, come stanno già dimostrando, di preferire soprattutto prodotto ittico di origine nazionale, a sostegno dei produttori italiani, che potranno richiedere o scegliere sui banchi delle pescherie tradizionali o dei supermercati, selezionando le specie che riporteranno in etichetta oltre la zona di cattura anche un’ulteriore specifica con ben indicato che si tratta di prodotto “nazionale” o “nostrano”. Il consumatore può in questo modo cambiare l’offerta, oggi rappresentata per oltre il 70% da prodotto ittico di importazione. Per farlo deve cambiare la domanda ed è proprio il consumatore a poter fare la differenza diventando più consapevole ed esigente negli acquisti, premiando le pescherie che risultano più attente alla vera filiera corta e a una offerta più mirata a prodotti ittici dei nostri mari, dei nostri allevamenti e delle nostre acque dolci”.
Intanto, però, una notizia positiva arriva dal Consiglio Ue, dove si è trovata l’intesa che limita la riduzione delle giornate di lavoro per i pescatori tricolori operanti nel Mediterraneo Occidentale al 7,5% del totale attuale, rispetto alla proposta di un calo del 15% inizialmente avanzata dalla Commissione Europea. Lo sottolinea Coldiretti Impresapesca. “Un compromesso frutto di un articolata mediazione - spiega Coldiretti Impresapesca - che ha visto prolungarsi le trattative relative alla pesca sugli argomenti più scottanti, Brexit e Mediterraneo, con un braccio di ferro tra Commissione da una parte e l’Italia, Francia e Spagna dall’altra. È stata così scongiurata una soluzione che, se accolta in sede di Consiglio d’Europa, avrebbe di fatto portato l’attività di pesca al di sotto della sostenibilità economica in un settore che non possiede peraltro un sistema di ammortizzatori sociali in grado di compensare le interruzioni prolungate di produzione nell’arco dell’anno solare. Più rispondente alle esigenze della flotta italiana, fatta da 12.000 pescherecci per 28.000 posti di lavoro - conclude Coldiretti Impresapesca sarebbe comunque un budget di giornate da gestire dalle singole imprese per ottimizzare l’attività di pesca.
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