Al netto di qualche grappolo di varietà precoci già in cantina da giorni, in diversi territori d’Italia, e una raccolta che avanza lentamente, mentre tante zone vinicole del Belpaese fanno i conti con il caldo ed una mancanza d’acqua ormai importante, la vendemmia 2021 sta prendendo corpo passo dopo passo. E se al grosso ancora manca un po’, da più parti si segnalano giù aumenti importanti dei prezzi delle uve, dei mosti e dei vini sfusi, tra il +20% ed il +30% sul 2020. Che riguardano uve per vini da tavola o generici, ma anche territori e varietà dove già qualcosa si muove, come Prosecco e Pinot Grigio in Veneto, Primitivo in Puglia e Chianti in Toscana, in un trend al rialzo che si annuncia, comunque, generalizzato un po’ in tutta Italia. Aumento dovuto in larga parte ad una raccolta che si annuncia scarsa per le gelate di aprile 2021 e per la poca pioggia estiva (le stime di Unione Italiana Vini - Uiv, Assoenologi e Ismea parlano di un -9% sul 2019 a livello nazionale) e che, “abbinati” a quelli di energia elettrica, trasporti o materiali come il vetro, per esempio, fanno alzare l’attenzione a produttori, commercianti e grande distribuzione, perchè in qualche modo andranno assorbiti e in parte riversati sul consumo. Senza contare la concorrenza fortissima, sui vini generici, della Spagna, che ha già iniziato a fare mercato a prezzi bassi, soprattutto in Germania. È il quadro tratteggiato, a WineNews, da Andrea Verlicchi, presidente di Med. & A. (Associazione Nazionale Agenti d’Affari in Mediazione e Agenti di Commercio), che, insieme ad Unione Italiana Vini (Uiv), ha dato vita all’Osservatorio dei Prezzi delle Uve, con aggiornamenti quotidiani pubblicati on line.
“Siamo solo all’inizio della campagna vendemmiale - spiega Verlicchi - e già c’è molta confusione per questi aumenti di prezzi, in parte giustificati dal ribasso delle previsioni delle stime vendemmiali, dal Veneto all’Emilia Romagna, dal Piemonte alla Toscana, dalla Puglia all’Abruzzo. La prima regione a vendemmiare è stata la Sicilia, ma qui non quotiamo prezzi particolari perchè il 95% del mercato delle uve è fatto da conferimenti alle cooperative, mentre in Puglia abbiamo quotato il Primitivo, che è salito molto sul 2020, i prezzi delle uve hanno superato 1,3 euro al chilo, nel 2020 si andava da 90 centesimi ad 1 euro, quindi un aumento notevole, e peraltro su uve con gradazioni alcoliche inferiori al 2020, e quindi la tensione è ai massimi livelli. Tra le uve più economiche, parliamo di Trebbiano e Sangiovese - continua Verlicchi - abbiamo avuto un aumento a fine agosto, ad inizio raccolta, per qualche richiesta di fabbisogno immediato di mosti muti (mosti la cui fermentazione è fermata con la solforosa, ndr), e quindi è partito il Sangiovese a prezzi molto più alti del 2020, mentre oggi vediamo una stabilizzazione dei prezzi. Va detto che tutto è in divenire, ancora ci sono pochi contratti sul vino, si muove soprattutto il mosto muto, ma ovviamente i prezzi sono molto superiori alle vendemmia 2020”.
In un sistema produttivo variegato ed articolato come quello italiano, è difficile delineare un trend comune a livello nazionale, ma, secondo Verlicchi, non è azzardato parlare di aumenti, in media, anche del 30%. “Anzi, ci sono picchi anche superiori. Chiaramente tutto è in evoluzione, dovevamo iniziare a quotare le uve in Emilia-Romagna oggi, e invece lo faremo tra un paio di giorni perchè la raccolta è in ritardo. Ma c’è una tensione dei prezzi tra la produzione che esige un aumento delle quotazioni, e l’acquirente che teme la situazione di mercato di oggi, che, rispetto alla fine di agosto - primissimi di settembre, è meno euforica. C’è il timore di lavorare con prezzi delle uve fissati oggi, senza sapere a che prezzi poi si potrà rivendere il vino domani, soprattutto su varietà come il Trebbiano qui in Romagna, per esempio”.
Ma è innegabile che aumenti di prezzo siano già prevedibili ed in alcuni casi già effettivi, spiega Verlicchi, anche su denominazioni importanti. “Sul Prosecco, per esempio, nei primi contratti fatti siamo già a 1,85-1,9 euro al litro, per il Pinot Grigio sui 1,05-1,10 euro, con aumenti importanti sulle medie di vendita del 2020. In Piemonte ancora è presto, le uve rosse iniziano in questi giorni ed i prezzi formati non ci sono, come non ci sono i prezzi dei vini generici del Veneto perchè si inizierà a raccogliere la Garganega nella prossima settimana. In Toscana, invece, abbiamo già avuto un aumento dei prezzi del Chianti, a partire dai mesi scorsi, perchè c’era poca disponibilità di prodotto, anche del 20% in marzo, e poi ancora da dopo le gelate primaverili. Oggi il Chianti non ha ancora contrattazioni, ma da più parti si parla di quotazioni che andranno minimo da 1,7-1,8 al litro sul prodotto 2021, ed anche in questo caso con aumenti sostanziali sulla vendemmia 2020”. Insomma, la tensione sui prezzi è generalizzata, ed in particolar modo lo è nel segmento dei vini generici e da tavola, ormai una parte minoritaria della produzione italiana, ma pur sempre il 30% del totale in quantità, e dove la differenza sul mercato si gioca spesso sui centesimi. “E non si può aumentare troppo il prezzo, perchè altrimenti il vino non si vende, anche se i conti li faremo alla fine”.
Un’altra cosa fondamentale da tenere in considerazione, è la competizione da parte della Spagna sui vini generici. Gli spagnoli - aggiunge ancora il presidente di Med. & A. - hanno già iniziato a vendere il prodotto nuovo in pre-vendemmia (le quotazioni delle uve Airen comuni parlano di 20-25 centesimi al chilo, quello del Tempranillo Dop o Igp di 31-35 centesimi, ndr), e hanno fatto ingenti vendite in Italia, Germania e Francia, mentre noi siamo ancora al palo, perchè i nostri prezzi sono partiti molto più alti. Bisogna guardare a questo con attenzione, perchè è vero che anche la Spagna ora sta rialzando un po’ le quotazioni, ma sta vendendo, mentre noi, soprattutto in Veneto e in Emilia Romagna, non abbiamo fatto nessun affare con i nostri imbottigliatori tedeschi. Non è come nel 2017, quando sia Italia che Spagna aumentarono entrambe i prezzi ed iniziarono a vendere insieme dopo, loro hanno già iniziato e sono già molto più avanti”.
Una situazione, dunque, tutt’altro che semplice. E che chiama in causa una riflessione più ampia, ovvero quello della remunerazione del lavoro agricolo e della produzione di materia prima, che, nel caso del vino, ovviamente, è l’uva. Con aumenti di prezzo che, da un lato, vanno visti anche in positivo, a patto che non siano scaricati sempre sugli anelli più deboli della filiera. “È un discorso complesso. Oltre all’aumento dei prezzi delle uve, c’è da considerare che tutto ciò che ruota intorno al prezzo della bottiglie è aumentato: vetro, trasporti e così via. E sarebbe importante che la grande distribuzione, che accade spesso, non schiacciasse ulteriormente il fornitore, e quindi l’imbottigliatore, sul prezzo. Oggi - sottolinea Verlicchi - abbiamo aumenti su tutte le materie prime, aumenti sul prezzo del vino non solo perchè c’è meno produzione, ma anche perchè aumentano i prezzi dei concimi e degli antiparassitari, e della manodopera, che si trova con difficoltà. E quindi abbiamo bisogno di aumentare i prezzi di certe uve. Anche per far tornare la viticoltura un’attività professionale prevalente, mentre in tante zone ancora è quasi un hobby, spesso proprio per il fatto che quell’ettaro di vigna rende troppo poco per dare un reddito vero ad una famiglia o ad una persona. Bisogna sensibilizzare la distribuzione, perchè una parte di questi aumenti, dettati da molti fattori, vengano riversati sulla distribuzione stessa, e un po’, purtroppo, anche sul consumatore. Perchè questi aumenti di prezzo, in qualche modo, oggi, sono necessari”.
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