L’agricoltura italiana tiene, nonostante la difficile congiuntura economica, e rimane regina in Ue per valore aggiunto sia nel 2018 che, nelle prime stime relative al 2019, pur tra alti e bassi di produzione e costi produttivi che continuano a crescere erodendo i margini di reddito dei produttori. Ma la voce forte del sistema agroalimentare italiano nel suo complesso è soprattutto l’export, al traino di un vino dalla corsa inarrestabile che ha raggiunto nel 2018 un valore di consegne all’estero di 6 miliardi e 374 milioni (+3,4% sul 2017) e che anche nel 2019 è destinato a guidare sui vari mercati una cavalcata del made in Italy agroalimentare ancora più arrembante. Difatti, dopo un 2018 chiuso con un aumento dell’1,4% dell’export, a 41,6 miliardi di euro, l’agroalimentare italiano ha affrontato il 2019 con ancor più grinta i mercati esteri, mettendo a segno nei primi nove mesi dello scorso anno una crescita del 4,5%. Nel frattempo, grazie all’avanzata continua dell’export dei prodotti agroalimentari italiani ed al parallelo calo di import agroalimentare registrato negli ultimi cinque anni, il deficit della bilancia agroalimentare italiana è sceso nel 2018 per la prima volta sotto i 2 miliardi. Sono alcuni dei dati contenuti nell’Annuario dell’agricoltura italiana 2018 e del Rapporto sul commercio con l’estero dei prodotti agroalimentari 2018, elaborati dal Crea-Centro per la Ricerca in agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria presentati oggi al Ministero delle Politiche Agricole, assieme alle stime preliminari 2019 per l’agricoltura italiana, elaborate dall’Istat.
Se nel 2018 la produzione agricola, legata ad aziende che per riuscire a competere aumentano sempre più in dimensioni, registrava un aumento dell’1,8% rispetto all’anno precedente, attestandosi a 59,2 miliardi di euro in valori correnti - sia per la crescita dei volumi prodotti (0,6%) che per un forte rialzo dei prezzi dei prodotti venduti (+1,1%) - nel 2019, secondo le stime preliminari Istat che saranno definitive il 30 settembre prossimo, la produzione dell’agricoltura si è ridotta dell’1,3% in volume, a 56 miliardi e mezzo di euro circa, con una variazione di valore di -0,6% ma confermandosi sempre al vertice Ue per valore aggiunto, tallonata da vicino dalla Francia, e mantenendo anche il terzo posto, dietro a Francia e Germania, nel valore della produzione.
Vistoso il calo produttivo stimato per il 2019 per il vino - ha segnalato l’Istat - mentre un buon recupero si è avuto per l’olio di oliva (+32%). Diminuzioni rilevanti anche per frutta (-3%) e cereali (-2,6%), mentre prosegue il trend positivo delle attività secondarie (+1,3%) e delle attività dei servizi (+0,4%). Nel 2019 risulta inoltre più contenuta sia la crescita dei prezzi alla produzione (+0,7%), sia di quelli relativi ai costi sostenuti dagli agricoltori (+0,9%).
Le unità di lavoro nel settore agricolo si prevede siano diminuite dello 0,1%, mentre nel 2018 si era registrato un aumento dello 0,8%. Continua a viaggiare in segno meno l’indicatore di reddito agricolo, che secondo le stime Istat nel 2019 ha segnato -2,6%, mentre a livello Ue si segnala complessivamente un aumento del 2%.
I dati, presentati da Crea e Istat, indicano, tuttavia, uno stato di salute in generale buono per il comparto agroalimentare italiano. Anche se la minaccia di un’estensione e ispessimento dei dazi Usa certamente preoccupa e qualche segnale di allarme emerge anche dai dati del Crea: le stime relative allo scorso ottobre, quando si sono affacciati i dazi Usa, parlano di un export agroalimentare già in rallentamento verso gli States, cresciuto solo dell’1,5% rispetto al +3,8% totale.
A testimoniare la dinamicità di un comparto che ha un peso chiave nell’economia nazionale, nel 2018 sono aumentati gli investimenti fissi lordi (+4,2%). Inoltre, risulta sempre più importante per le aziende la diversificazione delle attività produttive, che pesa per circa il 20% sul valore della produzione. Emerge inoltre che chi diversifica consegue migliori risultati economici. Ai buoni risultati ottenuti contribuiscono anche le numerose iniziative di carattere politico, con il livello di sostegno pubblico in agricoltura che ha superato i 12,7 miliardi di euro (+23%). Dal punto di vista strutturale, prosegue il percorso di ricomposizione della maglia aziendale, con l’aumento delle aziende di classi dimensionali elevate (oltre i 100.000 euro di produzione standard), che gestiscono circa metà della Sau (Superficie Agricola Utilizzabile) totale. La superficie media aziendale è salita a 11 ettari. Si registra tuttavia un calo delle imprese agricole iscritte nei registri camerali (-6,4%). In leggera ripresa, per il secondo anno consecutivo, il mercato fondiario (+0,2%). Le valutazioni di mercato vengono però spesso smentire nelle compravendite, soprattutto dei vigneti, dove la denominazione, specialmente nei territori più prestigiosi, ha un appeal talmente forte da far “sballare” le quotazioni di riferimento e generare fenomeni di speculazione, come ha sottolineato Roberto Henke, direttore del Centro Politiche e Bioeconomia del Crea, ai microfoni di WineNews: “il vino è una delle eccellenze del nostro Paese - ha dichiarato Henke - e c’è molta attenzione sul settore, attenzione che a volta arriva alla speculazione. Anche per via del fatto che c’è un limite a impiantare nuovi vigneti, questo tipo di terreni ha creato una rendita particolarmente remunerativa. Ci sono dunque vari settori di speculazione, oltre al fatto che anche in questo settore ci sono alcune eccellenze che fanno sì che prendere terreni che producono quel tipo di vini è una garanzia per il futuro”.
I dati del Crea segnalano che il Sistema Qualità basato sulle Indicazioni Geografiche (300 prodotti alimentari e 526 vini) ha raggiunto un valore di mercato di primo piano, con 15 miliardi di euro, e generando 9 miliardi di export. In particolare, i dati del Crea segnalano che l’export di spumanti Dop in valore è quasi raddoppiato in 4 anni (sopra 1,2 miliardi nel 2018) e il peso sull’export nazionale da meno del 2% (2014) è salito al 3% nel 2018. Regno Unito e Usa rappresentano oltre il 55% del mercato. Nei primi nove mesi del 2019 continua l’aumento verso Usa e Francia ma frena verso l’Uk, prevedibilmente sulla scia della Brexit. Bene anche l’Est Europa.
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