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RISTORAZIONE

L’alta cucina italiana alla conquista dell’Asia. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare

Non solo “8 1/2 Otto e Mezzo Bombana” e “Da Vittorio”, in Giappone “Cenci” e “Villa Aida”, a tavola e nel bicchiere, parlano italiano

Al di là della mera statistica e della classifica finale, la “50 Best Restaurants Asia” 2022 restituisce lo spaccato di una ristorazione asiatica che ha ormai spalancato le porte alla grande bellezza della cucina europea. E non solo a quella francese, ben rappresentata dal “Blue by Alain Ducasse” a Bangkok, o dalla “La Maison de la Nature Goh” di Fukoka, in Giappone, o ancora dal mitico “Ultraviolet by Paul Pairet” di Shanghai. Pure l’alta gastronomia italiana, che nel Novecento ha letteralmente colonizzato, da un punto di vista squisitamente culinario, Europa e Stati Uniti, si sta finalmente affacciando all’Estremo Oriente. Con indirizzi ormai storici, come “8 1/2 Otto e Mezzo Bombana”, che vanta tre stelle Michelin ad Hong Kong e due nella sede di Shanghai, dove da un paio di anni è arrivato anche “Da Vittorio”, primo ristorante della famiglia Cerea lontano dall’Europa, che in poco tempo ha conquistato le due stelle Michelin e la posizione n. 28 della “50 Best Restaurants Asia” 2022.

Casi isolati? Decisamente no. Restando sulla classifica firmata dalla San Pellegrino, infatti, alla posizione n. 43 troviamo il “Cenci”, a Kyoto. In cucina c’è chef Ken Sakamoto, classe 1975, una volta sous chef del mitico Yasuhiro Sasajima, nome “pesante” della ristorazione dell’antica capitale del Giappone, e punto di riferimento per tutti gli amanti della cucina italiana con il suo “Ghiottone”, oggi una galassia di quattro locali, dove le migliori materie prime - dalle carni al pesce alla verdura -, di cui Kyoto è particolarmente ricca, vengono rivisitate e cucinate attraverso le tecniche della cucina italiana. In wine list, come è facile immaginare, abbondano le bottiglie dai migliori territorio della viticultura italiana, dal Prosecco alla Franciacorta, da Gavi alla Vernaccia di San Gimignano, dalla Sicilia all’Alto Adige, dal Friuli Venezia Giulia alla Toscana del Brunello di Montalcino e di Bolgheri, dalle Langhe del Piemonte alla Valpolicella.

Restando in Giappone, un altro indirizzo dove si respira, si mangia e ovviamente si beve italiano è quello del “Villa Aida”, a Wakayama, alla posizione n. 14 della “50 Best Restaurants Asia” 2022, la new entry più alta. Ai fornelli, chef Kanji Kobayashi, nato nel 1973 e passato, in Italia, dalle cucine de “La Tenda Rossa” (un pezzo di storia dell’alta cucina toscana, a San Casciano Val di Pesa, che dopo il primo lockdown ha chiuso definitivamente i battenti, ndr) e del mitico “Don Alfonso 1890” a Sant’Agata sui Due Golfi, perla della Campania e tempio culinario dello chef due stelle Michelin Alfonso Iaccarino. Chef Kobayashi, nella città celebre per l’“umeboshi”, ha puntato forte sul concetto “farm to table”, dall’orto alla tavola, cucinando solo per piccoli gruppi (4/6 persone), che hanno la fortuna di vivere un’esperienza che dura un’intera serata.

Sono segnali da cogliere, che però raccontano ancora un certo ritardo della cucina italiana, specie quella di alta qualità, in Asia in generale ed in Giappone in particolare. Dove la Francia è arrivata prima, anche grazie alla spinta ed alla promozione della Guida Michelin, la più autorevole e prestigiosa. La presenza, in sostanza, di quattro ristoranti italiani, o comunque in cui si fa cucina italiana, nella “50 Best Restaurants Asia” 2022 può senz’altro aiutare a riequilibrare i rapporti di forza, ma la strada da fare è ancora molta, per un settore che, da sempre, è l’apripista di un intero comparto come quello dell’agroalimentare made in Italy, di cui il vino è, numericamente e culturalmente, l’espressione più alta.

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