L’Italia dell’agroalimentare d’eccellenza è fatta (e trainata) dai grandi distretti del vino, diffusi in tutto il Belpaese, e da altre aree di produzione importanti come quella dell’industria dolciaria delle langhe, la food valley emiliana, tra grandi formaggi e salumi, per esempio, ma non solo. Perchè il Paese n. 1 al mondo per biodiversità, è fatto anche di tante altre piccole filiere, spesso fragili nei numeri, quasi marginali, o alle prese con un passaggio generazionale non semplice, ma comunque dinamiche ed importanti per la storia e la tradizione che rappresentano, e anche per la narrazione del made in Italy. Ad analizzarle, ora, arriva “L’Atlante delle Filiere”, nuovo progetto a cura dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in collaborazione con Slow Food Italia, finanziato della Fondazione Cariplo, per supportare e valorizzare le filiere agricole marginali.
22 quelle su cui si è incentrata questa prima edizione della ricerca, disclocate in Italia settentrionale: dall’Agnello d’Alpago all’Asparago di Cilavegna, dal Bagòss di Bagolino al Burro a latte crudo dell’alto Elvo, dalla Castagna delle Prealpi varesine alla Castagna essiccata nei tecci di Calizzano e Murialdo, dai Fagioli di Badalucco, Conio e Pigna alla Farina di grano saraceno di Teglio, dal Fatulì della Val Saviore al Grano saraceno di Terragnolo, dal Luppolo al Macagn, dal Missoltino del Lago di Como essiccato al sole al Morlacco del Grappa di malga, dalla Patata Verrayes della Valle d’Aosta alla Pecora brianzola, dalla Pitina alla Rapa di Caprauna, dai Salumi e insaccati d’oca di Mortara al Violino di capra della Valchiavenna, dallo Zafferano delle colline moreniche del Garda alla Zucca mantovana. Filiere che condividono la forte territorializzazione e localizzazione, nonché vedono al loro interno attive iniziative di valorizzazione del prodotto locale mediante la creazione di forme associative e/o l’ottenimento di marchi di tutela e garanzia.
“L’indagine - spiega Michele Filippo Fontefrancesco, antropologo all’Università di Pollenzo e responsabile scientifico del progetto - ha analizzato i punti di forza e di debolezza di queste caratterizzanti realtà. Ci dimostra come queste filiere siano molto innovative sia nelle forme di commercio adottate, sia per la capacità di utilizzare interessanti strategie comunicative. Il primo problema è legato ad un elemento fondamentale della loro realtà aziendale: l’età elevata degli imprenditori e dei lavoratori ci rimanda ad un orizzonte di futuro limitato. Laddove la realtà del ritorno all’agricoltura è molto più esigua della rappresentazione spesso fatta in televisione, questo urge a lavorare su proposte concrete per stimolare tanto l’inserimento di nuove forze in queste aziende quanto creare veri strumenti per la nascita di una diffusa impresa giovane. Oltre a ciò - conclude Fontefrancesco, che ha condo la ricerca con Dauro M. Zocchi - non si può dimenticare le problematicità che si riscontrano nella collaborazione tanto tra aziende, quanto con gli enti pubblici, anche e spesso quelli più locali. Di fronte a questa criticità non basta chiaramente ricordare che “l’unione fa la forza”, ma sviluppare strumenti e politiche capaci a supportare e rafforzare il networking piuttosto che rassegnarci ad un Paese dai mille campanilismi”.
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