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Latte, in un anno gli allevatori hanno perso 550 milioni di euro perchè il prodotto è pagato sottocosto, e hanno chiuso 1.000 stalle. A dirlo la Coldiretti, che ha portato mucche e allevatori nei supermercati d’Italia per la “guerra del latte”

“Gli allevatori italiani hanno perso in un anno oltre 550 milioni di euro perché il latte viene pagato al di sotto dei costi di produzione, con una riduzione dei compensi di oltre il 20% rispetto allo scorso anno su valori inferiori a quelli di 20 anni fa mentre al consumo i prezzi non calano”. A dirlo il dossier di Coldiretti nella “guerra del latte”, che, dall’assedio allo stabilimento Lactalis nel Lodigiano, si è estesa con decine di migliaia di allevatori dalle industrie ai supermercati delle grandi città da Roma a Torino, da Bologna a Venezia, da Bari a Milano, “dove sono state portate anche le mucche a rischio di estinzione perché gli allevatori non riescono più a mantenerle”.
“Nel passaggio dalla stalla allo scaffale - sottolinea la Coldiretti - i prezzi moltiplicano fino a quattro volte per il latte fresco con i centesimi riconosciuti agli allevatori che si trasformano in euro pagati dai consumatori. L’industria ha deciso unilateralmente di tagliare i compensi per il latte alla stalla di oltre il 20% rispetto al 2014, proponendo accordi capestro che fanno riferimento all’indice medio nazionale della Germania, con una manovra speculativa ingiustificata e quindi inaccettabile. Siamo di fronte ad una palese violazione delle norme poiché il prezzo corrisposto agli allevatori è inferiore in media di almeno 5 centesimi rispetto ai costi di produzione, che variano dai 38 ai 41 centesimi al litro secondo l’analisi ufficiale effettuata dall’Ismea in attuazione della legge 91 del luglio 2015 che impone che il prezzo del latte alla stalla debba commisurarsi ai costi medi di produzione”.
“Lo studio ufficiale sui costi di produzione del latte bovino elaborato in esecuzione della legge 91 del luglio 2015 - continua la Coldiretti - evidenzia che nel giugno 2015 in Lombardia i costi medi di produzione del latte oscillano da un minimo di 38 centesimi al litro per aziende grandissime di oltre 200 capi di pianura, a prevalente manodopera salariata, con destinazione a formaggi Dop, fino ad un massimo di 60 centesimi al litro per aziende piccole di 20-50 capi di montagna/collina, a prevalente manodopera familiare, con destinazione del latte a formaggi Dop. Il risultato è che nel 2015 hanno chiuso più di 1.000 stalle, oltre il 60% delle quali si trovava in montagna, con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti. E quelle che sono sopravvissute, sulle 35.000, non possono continuare a lavorare in perdita a lungo”.
“A rischio c’è un settore che rappresenta la voce più importante dell’agroalimentare italiano con un valore di 28 miliardi di euro al consumo e 180.000 occupati nell’intera filiera” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “in gioco c’è un patrimonio del made in Italy alimentare che ha garantito all’Italia primati a livello internazionale ma anche un ambiente ed un territorio unico che senza l’allevamento rischia l’abbandono ed il degrado”.
Il settore lattiero caseario, secondo l’analisi della Coldiretti, rappresenta la voce più importante dell’agroalimentare italiano, con 35.000 imprese di allevamento, oltre la metà delle quali (55%) si trova in zone montane o svantaggiate, per una produzione complessiva di latte bovino che ammonta a 11 milioni di tonnellate, a fronte di 20 milioni di tonnellate consumate. In altre parole l’Italia è diventata dipendente dall’estero per quasi la metà del proprio fabbisogno in prodotti lattiero caseari. “Una caratteristica distintiva e straordinaria della produzione lattiero-casearia italiana - sottolinea Coldiretti - è la sicurezza alimentare e la qualità che esprime le nostre stalle sono le più controllate al mondo (in media un controllo, diretto o in auto controllo, settimanale) e offrono un latte dalle elevate caratteristiche nutrizionali. Sulla qualità - continua Coldiretti - è da sottolineare come oltre il 45% delle nostre produzioni serve a realizzare i migliori formaggi del mondo la cui qualità e distintività e strettamente legata alla produzione di latte dei nostri territori”.

Focus - Coldiretti: “latte straniero in tre cartoni su quattro, ma l’etichetta inganna”
“Tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta”. A dirlo la Coldiretti, che sottolinea come “alle frontiere italiane passano ogni giorno 3,5 milioni di litri di latte sterile, ma anche concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. Nell’ultimo anno - denuncia la Coldiretti - hanno addirittura superato il milione di quintali le cosiddette cagliate importate dall’estero, che ora rappresentano 10 milioni di quintali equivalenti di latte, pari al 10% dell’intera produzione italiana. Si tratta di prelavorati industriali che vengono soprattutto dall’Est Europa che consentono di produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità. Un chilogrammo di cagliata usata per fare formaggio sostituisce circa dieci chili di latte e la presenza non viene indicata in etichetta. Oltre ad ingannare i consumatori ciò fa concorrenza sleale nei confronti dei produttori che utilizzano esclusivamente latte fresco. L’assenza dell’indicazione chiara dell’origine del latte a lunga conservazione, ma anche di quello impiegato in yogurt, latticini e formaggi, non consente - sostiene la Coldiretti - di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionale e con esse il lavoro e l’economia del vero made in Italy”.
“In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti, ma anche con l’indicazione delle loro caratteristiche specifiche a partire dai sottoprodotti”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. “Non è un caso - ha continuato Moncalvo - che l’89% dei consumatori ritiene che la mancanza di etichettatura di origine possa essere ingannevole per i prodotti lattiero caseari, secondo la consultazione pubblica on line sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle Politiche Agricole che ha coinvolto 26.547 partecipanti dal novembre 2014 a marzo 2015. Si tratta di una iniziativa promossa sulla base del Regolamento Comunitario n. 1169 del 2011 entrato in vigore il 13 dicembre del 2014 che - continua la Coldiretti - consente ai singoli Stati Membri di introdurre norme nazionali in materia di etichettatura obbligatoria di origine geografica degli alimenti, qualora i cittadini esprimano in una consultazione parere favorevole in merito alla rilevanza delle dicitura di origine ai fini di una scelta di acquisto informata e consapevole”.

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