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LE AZIENDE AGROALIMENTARI ITALIANE SOFFRONO DI NANISMO, NON AMANO LE AGGREGAZIONI E TANTOMENO LA BORSA. MA SECONDO FEDERALIMENTARE PER AFFRONTARE I MERCATI OCCORRE METTERSI INSIEME E CRESCERE SOTTO IL PROFILO DIMENSIONALE

Sono tante, piccole e con poca voglia di crescere e aggregarsi. Stiamo parlando delle aziende italiane di agroalimentare, un esercito di oltre 36.000 micro imprese di cui solo 6.550 contano più di 9 dipendenti. E i processi di consolidamento del settore negli ultimi anni sono modesti. A dirlo è uno studio della Kpmg Corporate Finance, presentato recentemente ai giovani di Federalimentare.

Ne è emerso che, in cinque anni, le operazioni di fusione e acquisizione sono state 165, al ritmo di 25-30 l’anno. Solo nel 2005 le operazioni di “merger & acquisition” sono state appena 27 su 457 concluse complessivamente in Italia. Scarsa anche l’attitudine alla Borsa, solo 9 aziende sono infatti quotate con una capitalizzazione complessiva di 7,6 miliardi di euro, pari all’1,1% di tutta Piazza Affari e ben lontani dai 130 miliardi di euro che l’alimentare vanta nel polo Euronext, che comprende alcune delle più importanti borse del vecchio continente.

Nel 2005 il fatturato del food italiano ha raggiunto i 107 miliardi di euro, con una crescita del 1,9% e del 3,4% sull’export, pari a un valore di 15,1 miliardi di euro.

“Serve più aggregazione nel settore - spiega Luigi Rossi di Montelera, presidente di Federalimentare - le dimensioni aziendali devono crescere per consentire alle imprese di aprirsi sui mercati perché l’epoca dei protezionismi non c’è più. Su quei mercati - ha aggiunto - dobbiamo però chiedere regole certe e uguali per tutti sia sul piano sociale che della concorrenza e della lotta alla contraffazione”.

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