Sin dal primo giorno, il 24 febbraio 2022, destinato drammaticamente a rimanere nei libri di storia, WineNews, per quanto possibile a migliaia di chilometri di distanza dal fronte, ha provato a raccontare la realtà vissuta dai produttori ucraini, la cui quotidianità, come quella di qualsiasi altro ucraino, è stata sconvolta e stravolta dall’invasione russa. Dopo oltre un anno, intere Regioni del Paese sono state occupate e rase al suolo dalle bombe di Mosca, ma il resto dell’Ucraina resiste, ed ha intenzione di farlo a lungo, anche tra i filari. Alla “ProWein” di Düsseldorf, abbiamo avuto l’occasione di incontrare i vignaioli, veri e propri eroi dei giorni nostri che, nonostante la minaccia quotidiana dei missili, continuano a prendersi cura delle proprie vigne e delle proprie cantine, difendendo un patrimonio culturale ed economico fondamentale come quello vitivinicolo. La situazione, come è facile immaginare, non è certo semplice, eppure la speranza e la fiducia albergano in tanti di loro, a cominciare da Alia Plachkova, alla guida della Kolonist Family Winery, che ha condiviso con noi il dramma della guerra (qui l’intervista video).
“Noi come nessun altro sappiamo cosa significa svegliarsi la mattina con le bombe che ti piovono in testa. Sono momenti nei quali non pensi ad altro che a salvare i tuoi figli, e non capisci veramente cosa stia succedendo. Dopo un anno di guerra, posso dire che l’Ucraina è la Nazione migliore del mondo, i nostri soldati sono i migliori, i civili sono i migliori, perché continuano a lavorare, come abbiamo fatto anche noi, durante tutto l’anno. È stata dura, perché tanti territori del vino hanno perso manodopera, in molti hanno lasciato il Paese per mettere in salvo la propria famiglia, altri invece non hanno potuto lavorare, o perché la propria Regione è stata occupata dalle milizie russe, o perché c’era una situazione troppo pericolosa per l’incolumità dei lavoratori stessi”, racconta Alia Plachkova. “A seguito dell’invasione russa, diverse aziende sono state completamente distrutte o saccheggiate, e comunque, al di là della devastazione, i bombardamenti spesso rendono impossibile lavorare. Nonostante ciò, dopo la riconquista di alcuni territori occupati, e la loro messa in sicurezza, molti ucraini stanno rientrando nel Paese”.
Per quanto riguarda la propria situazione, la vignaiola ucraina ricorda come la propria cantina, “la Kolonist Winery, che si trova in una zona tradizionale del vino ucraino, nella zona del Mar Nero, è stata risparmiata dalle bombe. I russi sono arrivati da est e da nord, quindi per adesso la nostra zona non è stata interessata direttamente dal conflitto, le bombe si sono fermate a 25 chilometri dalla cantina. I nostri dipendenti si sono dimostrati davvero coraggiosi, perché nonostante gli aerei che sfrecciano sui nostri cieli e le bombe a poca distanza, continuano a lavorare ogni giorno. Non siamo stati in grado di pagare loro gli stipendi per diversi mesi, ma questo non li ha fermati, perché credono nell’Ucraina, credono in noi, credono in quello che fanno, e noi gliene siamo grati, perché così facendo salvano un intero settore”, sottolinea Alia Plachkova.
“Io, avendo dei figli piccoli, non sono potuta rimanere, ho dato la priorità alla sicurezza dei miei figli, con cui oggi vivo in Bulgaria: non voglio che restino traumatizzati, che vedano gente uccisa o le crudeltà dei soldati nemici. La nostra cantina sta comunque lavorando, e mio marito è sempre in Ucraina per controllare che tutto proceda bene. È impossibile abbandonare la cantina per un anno e poi tornare: i vini sono in vinificazione, o nelle botti, per non parlare della vigna, che è la componente più importante nel processo produttivo del vino, e avrebbe bisogno di essere seguita ogni giorno. Sono molto preoccupata per mio marito, ma dobbiamo assolutamente salvare la cantina, sapendo che non c’è solo lei: ci occupiamo anche di opere umanitarie, con donazioni ai soldati e all’esercito di equipaggiamenti, vestiario, elmetti, cibi e bevande. Un sacco di ragazzi stanno morendo per niente, sono disgustata da tutto questo, non è per questo che siamo venuti al mondo, siamo all’inizio del Ventunesimo Secolo e vogliamo lavorare per lo sviluppo del nostro Paese, perché lo amiamo”.
Un Paese che non è mai stato abbandonato dal resto del mondo Occidentale, con una vera e propria corsa alla solidarietà, anche da parte del settore enoico, “specie nei primi, quando la guerra è cominciata, con aiuti che arrivavano da tutte le parti: Portogallo, Francia, Italia, Germania, Paesi Balcanici, ma anche dagli Stati Uniti. Ad esempio, i responsabili di una ditta francese con la quale lavoravamo da 10 anni, hanno capito che non potevamo comprare le barrique, e ce le hanno fornite lo stesso, dicendoci che le avremmo pagate quando ne saremmo stati in grado: è una forma di aiuto che può consentirci di andare avanti. Siamo rimasti impressionati anche dal numero di bandiere Ucraine che abbiamo visto sventolare alle finestre qui in Germania, è qualcosa che ci aiuta a tenere duro, a credere in noi, a credere in Dio. La cosa di cui abbiamo più bisogno è l’umanità, perché una persona normale non può macchiarsi di atti così crudeli come una guerra”, mette in guardia Alia Plachkova.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024