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Le Politiche Agricole inviano a Bruxelles lo schema di decreto che introduce in Italia l’obbligo di indicazione dell’origine del grano usato per la pasta. Martina: puntiamo a massima trasparenza per il consumatore. Coldiretti ok, pollice verso Aidepi

Il Ministero delle Politiche Agricole ha inviato oggi a Bruxelles, per la prima verifica, lo schema di decreto - condiviso sia dal Ministro Maurizio Martina che dal suo collega dello Sviluppo Economico Carlo Calenda - che introduce la sperimentazione dell’indicazione obbligatoria dell’origine per la filiera del grano e della pasta in Italia. L’Italia avvia così l’iter di autorizzazione, secondo le normative comunitarie, che arriverà a un modello di etichettatura che consentirà di indicare con chiarezza al consumatore, sulle confezioni di pasta secca prodotte in Italia, il Paese o l’area dove è coltivato il grano e quello in cui è macinato.
“Puntiamo a dare - ha dichiarato Martina - massima trasparenza delle informazioni al consumatore, tutelare i produttori e rafforzare i rapporti di una filiera strategica per il Made in Italy agroalimentare. Con questo provvedimento l’Italia vuole sperimentare per prima un nuovo sistema di etichettatura che valorizzi le nostre produzioni di grano e pasta, come abbiamo fatto con quelle lattiero casearie. Allo stesso continueremo a spingere a Bruxelles per avere un avanzamento su questo fronte a livello europeo”.
“La filiera della pasta è uno dei maggiori protagonisti del made in Italy - ha chiosato il Ministro Calenda - perché testimonia la capacità dei nostri pastai di miscelare grani di origine diversa, così da raggiungere gli alti livelli qualità che caratterizzano la pasta italiana. Il provvedimento, che risponde ad una crescente esigenza di trasparenza e informazione verso il consumatore, consentirà di fare maggiore chiarezza sull'origine del grano e delle semole che caratterizzano la qualità della pasta made in Italy nell’ottica di rafforzare la filiera produttiva e competere con la concorrenza straniera”.
Nello specifico, il decreto prevede che le etichette delle confezioni di pasta secca prodotte all’interno dei confini nazionali debbano riportare, in un punto evidente e di chiara leggibilità, il Paese di coltivazione del grano e il Paese in cui viene molinato: se le fasi avvengono in più Paesi, invece, le diciture previste sono “Paesi Ue”, “Paesi non Ue”, “Paesi Ue e non Ue”. Se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si potrà invece usare la dicitura “Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue”.
Immediate le reazioni della filiera. Per il presidente Coldiretti Roberto Moncalvo, il provvedimento risponde “all’esigenza di smascherare l’inganno del prodotto estero spacciato per italiano, in una situazione in cui un pacco di pasta su tre contiene grano straniero senza che i consumatori possano saperlo”: inoltre, per Moncalvo, è “un provvedimento fortemente sostenuto dalla Coldiretti per garantire maggiore trasparenza negli acquisti e fermare le speculazioni che hanno provocato il crollo dei prezzi del grano italiano al di sotto dei costi di produzione”. L’Italia - ricorda Coldiretti - è il principale produttore europeo di grano duro destinato alla pasta, con 4,9 milioni di tonnellate su una superficie coltivata pari a 1,3 milioni di ettari che si concentra nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia, che da sole rappresentano il 42% della produzione nazionale, seguite dalle Marche. Nonostante ciò sono ben 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero in un anno senza che questo venga reso noto ai consumatori in etichetta.
Ma lo stesso plauso non è arrivato invece da Aidepi, l’Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane: secondo il presidente dei pastai Aidepi Riccardo Felicetti, “la formula scelta non ha alcun valore aggiunto per il consumatore. L’origine da sola non è infatti sinonimo di qualità. Inoltre non incentiva gli agricoltori italiani a investire per produrre grano di qualità con gli standard richiesti dai pastai”.
“Si vuole far credere”, ha reso noto Aidepi, “che la pasta italiana è solo quella fatta con il grano italiano, o che la pasta è di buona qualità solo se viene prodotta utilizzando nazionale. Non è vero. La qualità del grano si può e si deve misurare attraverso la verifica della conformità a specifici requisiti e parametri che dipendono da condizioni del terreno, quelle climatiche, pratiche agronomiche adottate e così via. L’etichetta da sola non risolve i problemi della filiera della pasta: non aumenta la qualità del grano o la sostenibilità delle pratiche agricole, né aiuta la competitività del settore pastario. Bisogna invece avviare con urgenza percorsi di valorizzazione del frumento duro nazionale di qualità: quello italiano è oggi ancora insufficiente, per quantità e qualità complessive, a soddisfare le esigenze dei pastai: solo una maggiore disponibilità di grano italiano di qualità farà crescere la percentuale di grano nazionale nella pasta a discapito di quello estero”, ha sottolineato Aidepi.

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