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MERCATI

L’export dell’olio di oliva italiano cresciuto nel 2024: +42,6% a valore e +6,8% a volume

Ismea: “il settore olivicolo guarda alle nuove sfide con fiducia” e si adatta, tra cali di produzione, cambiamenti climatici e fitopatie
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L’export dell’olio di oliva italiano cresciuto nel 2024: +42,6% a valore e +6,8% a volume

Tra le molte ricchezze che compongono l’ampio e variegato portafoglio enogastronomico italiano, c’è sicuramente l’“oro verde”: l’Italia ne è il secondo esportatore mondiale con una quota del 20%, e vanta ben 42 Dop e 8 Igp in costante espansione, produzioni certificate che sono sempre più apprezzate anche sui mercati esteri. Basti pensare che, nel 2024, l’export di olio italiano ha toccato i 3,09 miliardi di euro a valore (+42,6% sul 2023), per 344.000 tonnellate esportate (+6,8%). Oltre a questo, complici la riduzione significativa del disavanzo commerciale (-84,3%) ed un comparto che ha raggiunto ormai i 5,8 miliardi di euro di fatturato, il settore olivicolo ha potuto consolidare il proprio peso economico sull’industria alimentare nazionale, sottolinea Ismea, nel “Report Tendenze - Olio di oliva”aggiornato a luglio 2025.
“L’olio di oliva italiano è un simbolo di qualità, cultura e identità - sottolinea il dg Ismea, Sergio Marchi - le performance sui mercati internazionali confermano la capacità del settore di generare valore e adattarsi, mantenendo saldo il legame con il territorio e guardando con fiducia alle nuove sfide”. Perché di sfide da affrontare ce ne sono eccome: tra cambiamenti climatici, fitopatie e calo dei volumi produttivi.
Sfide a contrasto delle quali “il Belpaese schiera un robusto pacchetto di misure finanziarie”, sottolinea Ismea, che possano supportare la competitività e la sostenibilità del settore olivicolo, che cura 1,1 milioni di ettari di oliveti sul territorio nazionale, di cui il 24% biologico (che ne confermano l’impronta ambientale) ed un consumo che, anche all’interno dei confini dello Stivale, resta importante ed elevato (di 441.000 tonnellate totali) con 7,5 litri pro capite: dai 34,6 milioni di euro annui dell’intervento settoriale olio previsto dal Piano Strategico per la Pac (Psp) 2023-2027 ai 100 milioni dal Pnrr per i frantoi, da aggiungersi ad altri 30 milioni di euro dedicati alla lotta contro la Xylella, e senza dimenticare gli altri strumenti previsti dal Psp 2023-2027 (tra cui ecoschema 3, investimenti, gestione del rischio, miglioramento della qualità), il pacchetto strategico mira ad accompagnare il comparto nella transizione verso modelli produttivi che siano innovativi, sostenibili e orientati al valore, con l’obiettivo di recuperare nuovi volumi produttivi.
Con una produzione 2024 pari a 248.000 tonnellate (secondo le elaborazioni Ismea dei dati Agea ormai quasi definitivi), infatti, il calo sull’anno precedente è stato addirittura del 24% (una previsione, comunque, più ottimistica di quella di settembre), ma “il settore, comunque - rassicurano dall’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare - ha resistito grazie alla struttura diffusa e capillare: 620.000 aziende e oltre 4.240 frantoi attivi. Il calo è legato a fattori climatici e ciclicità produttiva, ma si intravedono già segnali di recupero”. Un risultato, questo, legato all’eterogeneità della situazione della produzione tra Centro-Nord e Sud della Penisola: se le regioni del settentrione si sono rese protagoniste di incrementi produttivi importanti (con volumi più che raddoppiati sull’anno precedente che era risultato particolarmente scarso), così come quelle del Centro, questi incrementi non sono bastati a controbilanciare l’annata scarsa delle regioni del meridione, che si sono fermate all’86% dei loro volumi totali. Tra le situazioni più impattanti, quella pugliese, con produzioni quasi dimezzate sui 12 mesi precedenti, mentre Sicilia e Calabria, invece, sono riuscite a contenere le perdite. Inoltre, dallo studio Ismea, emerge che il caso italiano è in controtendenza al quadro produttivo internazionale che, secondo gli ultimi dati diffusi dalla Commissione Ue e dal Comitato Oleicolo Internazionale (Coi), è in una situazione migliore rispetto alle indicazioni di inizio raccolta, con un volume mondiale complessivo stimato di 3,5 milioni di tonnellate (ben superiore alle due campagne precedenti, quando le problematiche legate alla siccità avevano ridotto considerevolmente la produzione 2022 e 2023, soprattutto in Spagna) a campagna di frangitura ormai finita.
Venendo al capitolo prezzi, poi, dopo due anni di rialzi dei listini fino a livelli record, a partire dalla campagna produttiva iniziata nell’autunno 2024, le quotazioni del prodotto proveniente dai competitor dell’Italia sono scesi in conseguenza di un’offerta internazionale tornata alla normalità. L’olio extravergine d’oliva spagnolo, per esempio, è passato dai quasi 9 ai 3,60 euro al kg di giugno 2025, così come quello greco e quello tunisino: l’eccezione, però, è proprio l’Evo italiano, che resta, in media, sopra i 9 euro al chilo, nonostante lo scenario internazionale decisamente flessivo: “il fattore alla base di questa dinamica - spiega Ismea - è rappresentato dal fatto che l’Italia è l’unico tra i grandi produttori ad avere avuto un’annata di scarica che, unitamente a basse giacenze di inizio campagna, ha limitato l’offerta ed ha contribuito a dare più potere contrattuale ai detentori di olio Evo. A questo si aggiunge anche il fattore qualità: secondo molti operatori, infatti, la qualità dell’olio italiano diventa una discriminante importante in fatto di prezzo e le dinamiche dell’ultimo anno lo sta dimostrando”.
Uno scenario che, comunque, è caratterizzato dalla ripresa degli scambi internazionali e nel quale anche l’Italia ha giocato un ruolo da protagonista, con il +66% registrato dalle importazioni tra gennaio ed aprile 2025 (a fronte delle quali, però, la spesa è scesa del 13%), grazie al rientro dei prezzi internazionali, e con un +19% dell’export a volume (con una spesa diminuita del 10%).

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