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LIBERO

Parafrasando Miles Davis si può dire che il vino e la vita sono una questione di stile. Questo spiega perché il Franciacorta sia la bottiglia glamour del Vinitaly edizione numero 50. È un vino che fa stile ed è un vino che ha stile. Ci si è molto interrogati in questa mega-rassegna veronese dove si è scoperto che almeno tra le vigne l’Italia va (anche se potrebbe fare meglio) sul futuro. Il futuro climatico, il futuro economico, il futuro del vino che si vende on lime (peccato che resistano le barriere doganali per esempio negli Usa - alla faccia dei trattati TTIP -,in Canada, in tutti i paesi che distribuiscono il vino attraverso i monopoli statali) e si venderà, dicono i guru, sempre più sul web. Ebbene, guardando allo spazio espositivo di Francia- corta si direbbe che il futuro è adesso: strapieno di giovani, le degustazioni che si sono susseguite a ritmo di una all’ora perennemente sold out. Eppure non è cosa da poco la “casa del Franciacorta”:
sono quindici appartamenti confortevoli messi in fila (1500 metri quadrati) dove vengono ospitate 46 cantine (altre 21 sono sparse nel (liversi l)adiglioni) per raccontare di vini che hanno conosciuto una crescita esponenziale e di un territorio vocato alla vitivinicoltura almeno dal ‘400, ma che è stato rimesso a coltura appena una cinquantina d’anni. Correva l’anno 1961 quando uscivano i primi “pinot dl Franciacorta”. È diventato un caso mondiale e i numeri parlano chiaro: oggi gli ettari coltivati sono 2800, le bottiglie prodotte 16,5 milioni e all’estero ne va circa il 15% con giapponesi, americani e svizzeri che considerano questi “vini di seta” oggetti di culto e veicolo di sani desideri. E a queste vanno unite quelle dei vini fermi: i Curtefranca. Il futuro è esportare di più e in questo Vittorio Moretti - neopresidente del Consorzio, ma pioniere del Franciacorta di massima qualità - è deciso. “Oggi abbiamo produzione sufficiente per allargare I mercati e grazie anche alla convinta collaborazione della regione Lombardia mettiamo in campo un forte sostegno all’export attraverso una diffusione della conoscenza di Franciacorta: come vini e come territori”. Ma - sorpresa delle sorprese - è in Italia che cresce la domanda di Franciacorta. E ancora più sorprendente è che siano i giovani a desiderarlo. Qui a Vinitaly si ragiona di futuro. E l’interrogativo più pressante è: i nostri ragazzi continueranno a coltivare il sano piacere del vino? Una ricerca - interessante assai condotta da WineNews, il sito specializzato in tutto quanto fa vino - rivela che in America (il nostro principale cliente) a trainare la domanda sono i cosiddetti millenials che si informano (principalmente sul web), sperimentano. I nostri millenials, la cosiddetta generazione Y, che stanno tra 120 e 135 anni sembrano più distratti, con una fruizione del vino più episodica. Gran parte dei vini che consumano è sotto forma di spritz o come aperitivo, tranne che in un caso: Franciacorta.
Sono questi i vini considerati glamour, che però non fanno moda, sono i vini che piacciono per il loro stile e che mettono insieme le generazioni in forza del loro perlage finissimo, con nouances che sanno di frutta gialla, di fiori bianchi, carezzevoli eppur decisi, naturalmente capaci di raccontare il benessere di una terra d’incanto come quella che sta attorno al Lago d’Iseo.
propriamente una questione di stile. “Sì ne sono convinta
- dice Francesca Moretti che insieme al padre guida Bellavista e Contadi Castaldi, le due cantine franciacortine di Terra Mo- retti che ha appendici di gran pregio in Toscana con Petra e La Badiola - ed è per questo che abbiamo legato il vino all’arte, alla musica. Noi in Bellavista abbiamo cambiato l’immagine dei vini usando colori giovani, ma è un processo che ha coinvolto tutti i produttori di Franciacorta”. Le fa eco Maurizio Zanella - patron di Ca’ del Bosco ed ex presidente del Consorzio - che considera decisivo aver dato “dei nostri vini un’immagine dinamica senza in nulla rinunciare alla classe”. A questi stilemi si sono richiamati tutti: da Berlucchi a Arcipelago Muratori da Monterossa a Ferghettina, da Mosnel a le Marchesine. E anche i grandi classici come Uberti, come Fratelli Berlucchi come Ricci Curbastro hanno conferito al complesso Franciacorta autorevolezza delle radici in un contesto contemporaneo. Per non
dire di uno come Emanuele Rabotti che con Monterossa continua a inventarsi proposte come il ritiro di una bottiglia vecchia in cambio di una nuova. “Ma una cosa - ti- vendica orgoglioso Vittorio Moretti - non è cambiata: è l’incessante ricerca della qualità e il rigorosissimo rispetto dei disciplinati. Noi, è vero, vendiamo uno stile, ma prima di tutto proponiamo grandi vini, anzi vini unici”. Che però hanno uno spettro di fruibilità molto ampio. Le declinazioni di Franciacorta (dai Saten ai dosaggio zero) accompagnate dalla giusta rivendicazione di un metodo esclusivo di produzione (rifermentazione in bottiglia), il sapiente mix di Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco, hanno consentito ai Franciacorta di segmentare l’offerta aumentando la domanda. “In questo - spiega Emanuele Rabotti - sta la ragione del nostro successo: aver proposto vini che vanno da bottiglie esclusive a bottiglie di più immediato approccio ma tutte con il medesimo stile”. Certo il boom degli spumanti italiani ha aiutato anche i Franciacorta, ma con una differenza: il prezzo. Quello medio non è distante a quello medio dello Champagne. E anche questa è una questione di stile.

Carlo Cambi

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