La buona notizia è che in Italia si riducono le forme più gravi di insicurezza alimentare, considerato che la quota di popolazione che non dispone di sufficienti risorse per acquistare il cibo necessario è scesa al 2,7% nel 2024, ma era l’8,9% nel 2014. Il rovescio della medaglia mostra, però, un aumento della quota di chi non può permettersi un’alimentazione adeguata, e, quindi, un pasto proteico almeno ogni due giorni (9,9% nel 2024, era 8,4% nel 2023, in controtendenza sulla media Ue); l’allarme per gli under 35 che vivono da soli ed hanno difficoltà di accesso al cibo (il 17,8% non può permettersi un’alimentazione adeguata); 430.000 under 16 in condizione di insicurezza alimentare, soprattutto nel Sud Italia; il problema diffuso tra gli stranieri e i cittadini del Mezzogiorno di rinunciare a mangiare con parenti e amici per ragioni economiche (1 su 10 non può permetterselo nemmeno una volta al mese), e senza dimenticare che l’insicurezza alimentare colpisce maggiormente (2,4%) le persone che presentano limitazioni nelle attività quotidiane per motivi di salute. Questa la fotografia del “bollettino” sull’insicurezza alimentare pubblicato dall’Istat, in cui si nota il calo dell’insicurezza alimentare grave, ma anche ampi divari territoriali e criticità specifiche.
L’insicurezza alimentare è definita dalla Food and Agriculture Organization (Fao) come la condizione in cui si trovano le persone che non possono accedere, a causa di limitazioni fisiche o economiche, ad un’alimentazione sana, nutriente, conforme alle proprie preferenze e idonea a sostenere una vita attiva e in buona salute. In ambito internazionale la misurazione dell’insicurezza alimentare avviene principalmente attraverso l’indicatore “prevalenza di insicurezza alimentare moderata o grave nella popolazione”, incluso anche tra gli indicatori Sdgs come riferimento del target 2.1 dell’Agenda 2030. Nella nota pubblicata, l’Istat affianca a tale indicatore altre misure di insicurezza alimentare, anch’esse calcolate a partire dai dati raccolti dall’“Indagine su reddito e condizioni di vita nell’anno” 2024. Per i minori di 16 anni, inoltre, si presentano alcuni indicatori specifici per questa fascia d’età riferiti agli aspetti qualitativi e sociali dell’alimentazione.
In Italia, spiega l’Istat, nel 2024, il 5,5% degli individui mostra almeno uno degli 8 segnali di insicurezza alimentare definiti dalla scala Fies (Food Insecurity Experience Scale). Il segnale più diffuso, con il 4,3% di incidenza, riguarda l’aver mangiato solo alcuni tipi di cibo, che nella scala ordinata per gravità (dal meno grave al più grave) si posiziona al terzo posto, seguito dall’essere preoccupato/a di non avere abbastanza cibo da mangiare (primo posto) e dal non aver potuto mangiare del cibo salutare e nutriente (secondo posto), entrambi al 2,5%. I segnali Fies che rilevano l’insicurezza alimentare più grave (aver avuto fame non avendo potuto mangiare e non aver mangiato per un giorno intero) presentano un’incidenza inferiore all’1% (0,7% e 0,5%, rispettivamente). L’indicatore di “prevalenza dell’insicurezza moderata o grave” è pari all’1,3%, con un ampio divario tra il Mezzogiorno (2,7%) e il resto del Paese (0,6% nel Nord, 0,8% nel Centro). Rispetto al 2022 si osserva un miglioramento dell’indicatore sia a livello nazionale (era 2,2%), sia a livello di ripartizione geografica (era 1,4% nel Nord, 1,5% nel Centro e 3,8% nel Mezzogiorno). La prevalenza dell’insicurezza alimentare moderata o grave è maggiore nelle grandi città (1,6%), mentre le zone rurali o scarsamente popolate risultano meno esposte (0,9%); è, inoltre, più diffusa tra gli individui stranieri (1,8%) rispetto agli individui di cittadinanza italiana (1,3%). E se le differenze non sono significative tra uomini e donne, né tra adulti e minori, lo sono invece quelle tra coloro che presentano, per motivi di salute, limitazioni nelle attività abituali (2,4%) e coloro che non hanno alcuna limitazione (1%).
Nei Paesi Ue l’8,5% delle persone non può permettersi un pasto adeguato. E il non potersi permettere un pasto proteico almeno ogni due giorni, inteso come indicatore della difficoltà di alimentarsi adeguatamente, è uno dei 13 segnali che contribuiscono a definire l’indicatore europeo di grave deprivazione materiale e sociale. Quest’ultimo indicatore, nella media dell’Unione Europea, mostra un lieve miglioramento tra il 2023 e il 2024 (dal 6,8% al 6,4%). Una tendenza analoga, sebbene più marcata, si riscontra anche per l’indicatore sul pasto proteico, che dal 9,5% del 2023 scende all’8,5% del 2024.
In Italia, a fronte di una sostanziale stabilità della grave deprivazione materiale e sociale (4,6%, era 4,7% nel 2023), la quota di popolazione che non può permettersi un pasto proteico è in aumento, passando dall’8,4 %del 2023 al 9,9% nel 2024 (quasi 1 persona su 10). Le percentuali più alte si osservano in Bulgaria (18,7%), Slovacchia (17,1%) e Romania (16,3%). L’Italia si posiziona alla posizione n. 19 (9,9%), prima della Germania (11,2%) e della Francia (10,2%). In Spagna, la quota di individui che non possono accedere ad un pasto proteico (6,1%) è inferiore di 2,5 punti percentuali sulla media europea e di quasi 4 punti percentuali sul dato italiano (6,1%). Le quote più basse si rilevano per Cipro (1,2%), Irlanda (1,8%) e Portogallo (2,5%).
Secondo i dati Fao, nel 2024 l’indicatore di “prevalenza dell’insicurezza moderata o grave” a livello mondiale è pari al 28%, con un ampio divario tra le diverse aree del mondo (dal 58,9% del continente africano al 6,8% del continente europeo). Il Nord America, dopo l’Europa, è l’area geografica con i più bassi tassi dell’indicatore (10,7%).
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