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“Lo Champagne crescerà ancora se viticoltori e negociant, maison grandi e piccole, lavoreranno insieme, dividendo il valore lungo la filiera, come fatto per oltre 2 secoli”. A WineNews Jean-Claude Fourmon, guida della griffe Joseph Perrier

Oltre 300 maison e 15.700 viticoltori, per 33.500 ettari di vigna divisi tra 300 “Crus”, coltivati con i tre soli vitigni ammessi, Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay, 312,5 milioni di bottiglie sul mercato nel 2015, che hanno generato un giro d’affari di 4,7 miliardi di euro, di cui 2,6 all’export: ecco lo Champagne oggi, protagonista in tutti i mercati più importanti del mondo (Uk, Usa, Germania, Giappone, Belgio, Australia, Italia, Svizzera e Spagna i più importanti, dopo la Francia). Con i numeri che raccontano solo in minima parte la storia e la complessità di un “sogno enoico” che da oltre 200 anni è sinonimo della bollicina delle grandi occasioni, di festa, e di lusso, e che vuole continuare a crescere”. “E può farlo se tutti noi continuiamo a lavorare nella stessa direzione”, spiega a WineNews Jean-Claude Fourmon, oggi alla guida della griffe Joseph Perrier (www.josephperrier.com), realtà fondata nel 1825 da Joseph Perrier, divisa tra Chalon en Champange e Cumieres, che, con 23 ettari di proprietà, produce 800.000 bottiglie che finiscono per il 70% all’export.
“In Champagne esistono due grandi “famiglie” - dice Fourmon - ci sono i viticoltori, che possiedono il 90% delle vigne, ed i negociant. Ci sono maison piccole, che producono 200.000 bottiglie, e realtà che superano i 30 milioni. Ma tutti si sono impegnati, negli ultimi 200 anni, affinché lo Champagne diventasse così famoso, prestigioso e amato nel mondo. Siamo tutti connessi tra noi, lo sappiamo, e anche se siamo anche competitor, siamo consapevoli che siamo tutti nati nello stesso territorio, e vogliamo continuare a far crescere la nostra denominazione Champagne, perché vogliamo continuare ad essere padroni del nostro destino. Qui c’è una storia lunghissima che vogliamo far continuare, consapevoli che ognuno deve fare il proprio ruolo per questo. I viticoltori devono coltivare l’uva al meglio e produrre alcuni Champagne, i negociant comprare le uve a prezzi giusti perché ognuno sia remunerato correttamente (le uve più pregiate arrivano a costare 7-8 euro al chilo, ndr). Il che significa dividere il valore lungo la filiera: un terzo per il viticoltore, un terzo per il negociant, e un terzo anche per il distributore. Che nel nostro caso, per l’Italia, è un produttore che da voi è molto famoso e conosciuto come Banfi. Loro hanno bisogno di avere margini di guadagno, io devo avere margini di guadagno, e i viticoltori da cui compro uve o che le coltivano nelle mie vigne devono avere i loro margini, ed ecco perché è solo con questa triangolazione virtuosa che lo Champagne può guardare avanti e continuare nel suo sviluppo”.

Uno sviluppo che non sembra conoscere crisi, visto che nel 2015, secondo il Comitè Champagne (www.champagne.it), l’export delle più celebri bollicine francesi è cresciuto del 9%, toccando, con 151 milioni di bottiglie spedite nel mondo, quota 2,64 miliardi di euro (poco meno della metà dell’export complessivo del vino italiano, ndr). Ma se, come dicono i francesi, “lo Champagne è Champagne”, dietro al successo di questo grande vino è che “la varietà di offerta è talmente grande che ognuno, nel mondo, può trovare quello che fa per lui - dice ancora Fourmon - e questo è possibile grazie ad una pratica che è la storia, la tradizione ed il futuro dello Champagne, quella del blend. E la magia è che con solo 3 vitigni, benchè coltivati in 300 “crus” diversi, ogni bottiglia è diversa, ha il suo stile, e questo vuol dire che c’è spazio per tutti. Come c’è mercato per tutti: c’è il buon Champagne che va in grande distribuzione che si può considerare un “entry level”, c’è quello eccellente che finisce sulle tavole dei grandi ristoranti del mondo, c’è quello per le superstar dello spettacolo e quello per i conoscitori ed i veri appassionati di questo grande vino. Quello che conta, per me, ed è quello che cerco in tutti i nostri Champagne, è che il bicchiere appena finito lasci la voglia di versarne subito un altro”.
Di certo c’è che il mercato delle bollicine nel mondo è cresciuto e continua a crescere, e che sulla scena, soprattutto negli ultimi anni, si sono affacciati altri sparkling wine di grande successo, benchè diversissimi per tipologia, provenienza e prezzo, rispetto allo Champagne. In primis il Prosecco, che secondo alcuni starebbe in qualche modo “rubando” mercato ai francesi. E qui, la considerazione di Fourmon è laconica, provocatoria ma anche significativa allo stesso tempo: “Prosecco? Non credo di averne mai sentito parlare”. Un modo pungente per riaffermare ancora una volta che lo Champagne è una cosa, e tutto il resto un’altra. E questo anche grazie ad una storia che, legata al mito del monaco benedettino Dom Perignon che tra la seconda metà del Seicento e gli inizi del Settecento avrebbe “scoperto” lo Champagne, ha vissuto un’epopea che ha fatto delle bollicine francesi le più prestigiose del mondo, grazie ad una capacità di marketing che ha pochi pari, ad una capacità di intercettare e anticipare i cambiamenti dei gusti del mercato senza snaturare la propria identità, e ad una qualità ed una capacità di invecchiamento dei vini che ne fanno il re delle bollicine di altissima qualità. Un aspetto, quest’ultimo, che si ritrova anche nella limited edition che Joseph Perrier ha deciso di produrre per celebrare un po’ della sua storia: una cassetta, in soli 240 esemplari, di 3 bottiglie 1975, 1985 e 1995 (sui 1.000 euro), che racconta la straordinaria capacità delle bollicine più famose nel mondo di reggere come nessun altro alla prova del tempo.

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