02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024
VINO E COMUNICAZIONE

Lo storytelling, tra racconti di sport e storie di vino, secondo Federico Buffa

Dalla cornice di “Benvenuto Brunello” - a Montalcino, fino al 24 febbraio - a tu per tu con il maestro della narrazione, nel suo incontro con Bacco

Raccontare un mondo tutt’altro che dinamico, ma certo non per questo poco interessante (al contrario...), come quello del vino, in maniera originale, contemporanea, capace ad aprire le porte - fisiche e virtuali - di cantine e vigneti alle grandi masse, è sfida ardua, con cui i grandi territori ed i viticoltori si confrontano da anni. La narrativa - in senso alto se non altissimo - o per meglio dire lo storytelling, si rivela uno strumento straordinariamente efficace, a patto che sia al servizio di un grande narratore. E chi meglio di Federico Buffa, che ha raccontato a due generazioni le storie più belle dello sport, senza mai slegarle dalla Storia - quella con la “s” maiuscola - dalle Olimpiadi ai Mondiali di calcio, dalla vita eccezionale e rivoluzionaria di Mohamed Alì alla parabola calcistica di Diego Armando Maradona, è in grado di intrecciare la trama della storia con quella della terra e della vigna? Forse nessuno, come deve aver pensato il Consorzio del Brunello di Montalcino, che ha invitato Federico Buffa - competente appassionato del mondo enoico, ad ogni latitudine - a narrare il vino nel racconto “Condannato ad essere una star!”, di scena domani, nella cornice del Benvenuto Brunello (a Montalcino fino al 24 febbraio). E di vino, sport e comunicazione ha parlato anche con WineNews (l’intervista nei prossimi giorni su WineNews.tv).
“Quando c’è un argomento molto tecnico, in cui c’è una fruizione di massa, come nel caso del vino, amato da tantissima gente, per conoscerlo meglio c’è bisogno di una spiegazione più esplicita, più vicina al contenuto antropologico e storico, non necessariamente quello tecnico. Ma questo vale per tutto, non soltanto per il vino: oggi c’è bisogno di spiegare meglio, di spiegare di più, spiegare in generale, per rendere tutto più fruibile, perché questo è il ritmo attuale”. Inizia dallo storytelling il “racconto” di Federico Buffa, che riporta quindi il vino alla sua dimensione extra enoica, in un parallelo con lo sport, perché “il vino c’è da sempre, c’è nella Bibbia, il vino è connesso alla sapienza dell’uomo, come le storie di sport sono connesse alla sapienza dell’uomo, ed alla sua fisicità. Penso che ci siano punti in comune: ogni volta che c’è il genere umano coinvolto a qualsiasi livello, c’è la sua capacità spaventosa di generare immaginazione, prodotti che vengono dall’immaginazione, dalla conoscenza acquisita e da quella che ha sempre avuto in maniera naturale. Il cervello è la nostra esistenza, e le storie sono esistite da sempre, da quando l’Homo Sapiens batte l’Homo di Neanderthal nel derby su chi resta sul pianeta: avendo a disposizione l’immaginazione si immagina delle cose, non soltanto quello che vede, ma anche quello che pensa sia successo, ed è bellissimo, credo che sia l’essenza del vivere sul pianeta Terra”.
A proposito di terra, o meglio di parquet, precipitando dai temi più alti a quelli più bassi, per gli appassionati di Nba è diventata a suo modo storica la scommessa - persa - con l’amico e collega Davide Pessina sullo score dei Los Angeles Clippers (la squadra tifata da Buffa, ndr) in regular season 2011/2012: in pali, c’era una bottiglia di Sassicaia, diventata poi una bottiglia di bianco sudafricano, di Stellenbosch. “Una magnum di 2006, che continuo a conservare, ma prometto che prima o poi gliela darò, se la merita - scherza Buffa - tra l’altro i Clippers sono davvero forti quest’anno: è un mondo strano quello in cui i Clippers sono forti, mi ci devo abituare, comunque una bottiglia di Sassicaia gliela devo, è giusto come legge naturale, magari però ne compro un’altra, più piccola...”.
Restando nell’Emisfero Sud, il racconto ci porta dal Sudafrica alla Nuova Zelanda, la terra degli All Blacks (che Buffa racconta a teatro e non solo), ma anche di grandi Sauvignon e Pinot Neri. “La Nuova Zelanda mi colpisce in generale. Paese grande come l’Italia, di 4 milioni di abitanti, di cui 1,5 vivono ad Aukland, una terra pristina, in cui sembra di fare un viaggio nel tempo, una terra com’era una volta, in cui le armi da fuoco non esistono, sono vietate, in cui si lavora quattro giorni a settimana. Ed in cui gli All Blacks sono il significato della storia del Paese, perché mentre gli Aborigeni australiani aono sterminati dagli inglesi, con i guerrieri Maori hanno fatto un contratto. In quella terra così sorprendente - racconta Buffa - l’uva cresce in maniera eccezionale: rispetto a noi non hanno regole, però è un luogo della Terra in cui si ha la sensazione che la luce ed il clima, così particolari, producano dei Sauvignon Blanc e dei Pinot Neri di livello mondiale, e siccome sono due dei vini che preferisco devo ammettere che la Nuova Zelanda è una destinazione piacevolissima per me”.
Una capacità di riconnettersi con la terra, e quindi con i suoi vini, comune anche a qualche territorio italiano, a partire da quello del Brunello, “una roba impressionante: attorno c’è una fabbrica del bello, ecco cos’è la Toscana, dove si nota la sapienza dell’uomo. Non credo che questi luoghi fossero tutti così come li vediamo ora, l’uomo ci ha lavorato, con i terrazzamenti, i cipressi come idea di definizione di confine: non c’è un luogo della terra con così tanta eleganza e così tanta bellezza naturale che passa per la sapienza dell’uomo. Il vino mi sembra una naturale conseguenza: evidentemente il Sangiovese qua si è trovato bene, e direi che parlare con il sindaco Ilio Raffaelli che ti dice che nel 1960 questo era uno dei comuni più poveri del senese, anzi, il più povero del senese, e adesso credo che sia il più ricco del senese, perché seduto su una terra così unica, ubertosa, che permette a quest’uva di crescere e di diventare la responsabile unica di uno dei vini più importanti del mondo è una storia bellissima. Ma ci sono altri paesaggi che mi entusiasmano, come il Collio e la Sicilia”.
Dal 1960 al 2020, dalle Olimpiadi di Roma a quelle di Tokyo: su chi dobbiamo scommettere, magari giocandoci una grande bottiglia?
“Le Olimpiadi mi piacciono tantissimo perché, a differenza dei Mondiali di calcio, sono la celebrazione di tutto il pianeta, non soltanto di trenta nazioni, e poi perché gli italiani scoprono le donne dello sport italiano, che sono il motivo per cui lo sport italiano vince le medaglie. È incredibile come vengano ignorate tutto l’anno - tranne due o tre, tipo la Pellegrini - per quattro anni, e poi le vedi, vedi che sono quattro anni che si allenano, pur avendo tutto contro, perché nella mia visione del mondo non aiutiamo lo sport femminile, eppure vincono. Perché sono eccezionali, si allenano bene, hanno grandi allenatori, e perché hanno una forza che i maschi non hanno, a mio modo di vedere. Nel nuoto e nella scherma siamo sempre stati fortissimi, sicuramente lo saremo anche questa volta, Paltrinieri, pur essendo un uomo, mi sembra il miglior atleta di tutti”. Quello su cui scommettere una bottiglia di Sassicaia, o a cui brindare stappando un Brunello di Montalcino ...

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Altri articoli