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PENSIERI

Luigi Moio tra climate change, sostenibilità ambientale, ricerca ed etichettatura

A WineNews le idee del presidente Oiv: “Italia del vino modello planetario, dalla varietà il materiale genetico per risolvere i problemi della vite”
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Luigi Moio, neo presidente dell'Oiv

A quasi quarant’anni di distanza dall’ultima volta, l’Oiv - Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino torna ad essere guidata da un italiano, Luigi Moio, uno dei più affermati scienziati del vino (e produttore in Campania, con la cantina Quintodecimo), alla presidenza dell’istituzione guidata, nel triennio 1985-1987, da Mario Fregoni. A WineNews, Moio ha messo in fila i principi della sua viticoltura, e i grandi temi che la vite dovrà affrontare nei prossimi anni, tracciando le linee guida di quella che sarà l’azione della sua presidenza all’Oiv. Innanzitutto, un mantra tanto semplice quanto fondamentale: “il vino è l’unica bevanda alcolica mono ingrediente, basta un grappolo d’uva per farla”, ricorda Moio. “Ma questo grappolo d’uva deve avere tutti i componenti in perfetto equilibrio, e questo accade se si verifica una perfetta sintonia tra la pianta e il contesto ambientale in cui vive. Se l’equilibrio del potenziale enologico (quindi del mosto) è perfetto, l’enologia può fare un passo indietro, e l’enologo diventare un assistente di processo durante la fermentazione alcolica ed altri aspetti legati alla trasformazione”, continua l’Ordinario di Enologia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

Come detto, la viticoltura ha di fronte a sé ostacoli e sfide complesse, prima tra tutte quella del riscaldamento globale, le cui conseguenze, nel vigneto, sono già evidenti. “Negli ultimi anni, per via del riscaldamento climatico, abbiamo avuto aumenti di pH e crolli delle acidità in varietà importanti, come Merlot, Cabernet e Chardonnay, vitigni molto diffusi in tutto il mondo e in sofferenza. Ci sono dati - continua Luigi Moio - che mostrano come a Bordeaux il pH in vent’anni è salito a 3,65, e quindi diventa difficile gestire i processi di vinificazione senza intervenire: è tutto collegato, e per intervenire il meno possibile bisogna risolvere questi problemi a monte, rilanciando una serie di attività storiche, a partire dal vivaismo degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, per produrre nuove varietà più adatte e ovviamente resistenti alla pressione delle malattie, in modo da ridurre gli interventi di difesa e tutto ciò che può contaminare il sistema”.

In questo contesto, la ricchezza e la diversità della viticoltura del Belpaese sono un indubbio punto di forza. “L’Italia del vino diventa un modello planetario di diversità e biodiversità, e non ha concorrenza. Basta confrontare la piattaforma ampelografica italiana con quella francese, che poggia su venti, massimo trenta vitigni, contro i nostri venti e oltre per ogni Regione. Ci sono i maggiori - rossi e bianchi - e poi tutti gli altri, molti dei quali ancora da studiare, fonti di materiale genetico straordinario: è lì che, probabilmente, ci sono le chiavi per risolvere altri problemi che riguardano altri vitigni”, dice il presidente Oiv.

La ricerca, però, non si ferma certo ai vitigni, perché la sostenibilità - altro obiettivo cruciale, non solo per il mondo del vino - non si fa solo in vigna, ma anche in cantina. “I programmi di selezione dovrebbero essere indirizzati anche su altri obiettivi, ad esempio disporre di lieviti che fermentano bene a 7-8 gradi, che permetterebbe di condurre delle fermentazioni in modo corretto anche in luoghi freddi senza doverli riscaldare. Viceversa, disporre di lieviti che fermentano bene, producono vini corretti, con basso livello di acidità volatile, bassi livelli di prodotti riducenti e così via, fermentando a 30 gradi, significa non dover raffreddare le cantine durante la fermentazione alcolica, e questo condurrà di conseguenza ad un risparmio energetico e quindi di costi: ossia sostenibilità economica ed ambientale”, spiega il professore Luigi Moio.

Infine, l’attualità, con il vino che, su pressioni che arrivano da ogni lato, riflette sul senso di indicare gli ingredienti in etichetta, una possibilità su cui Moio ha le idee chiarissime. “Quella degli ingredienti in etichetta è una cosa che mi fa riflettere: come detto, il vino è mono ingrediente, non capisco la necessità e il senso della richiesta. Effettivamente, può esserci l’utilizzo di additivi, pensiamo ad una correzione acidica o di altre variabili, ma è una correzione, se si fa è per riequilibrare un mosto che non è equilibrato, e se non lo è vuol dire che quella vigna non è piantata nel posto giusto, o che non è stata piantata la varietà giusta nel posto giusto, perché quando si crea sintonia tra varietà e ambiente non è necessario intervenire. Tornando all’etichettatura, più che di ingredienti in questi casi si dovrebbe parlare di correzioni”, conclude il presidente Oiv e Ordinario di Enologia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

 

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