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Meno aziende agricole, ma più grandi e multifunzionali, meno occupati, ma più laureati, giovani e donne; più valore aggiunto, più export, ma anche più import, preponderante: gli ultimi 10 anni dell’agricoltura italiana by Nomisma & Fieragricola

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Gli ultimi 10 anni dell’agricoltura italiana by Nomisma e Fieragricola

Meno aziende agricole, ma mediamente più grandi e multifunzionalità, meno occupati, ma più laureati, giovani e donne; più valore aggiunto, più export, ma anche più import, con un saldo negativo maggiore: è la fotografia degli ultimi 10 anni dell’agricoltura italiana, tra luci ed ombre, scattata da Nomisma & Fieragricola, nell’indagine “Agricoltura 2007-2017: cosa è cambiato”, in vista della storica fiera, di scena a Verona, dal 31 gennaio al 3 febbraio, edizione n. 113 (www.fieragricola.it). E cosi, analizzando il primo e fondamentale anello della catena agroalimentare italiana, emerge, intanto, che è diminuito il numero delle imprese: -19% in 10 anni (nel 2017 746.224 realtà). In parte per effetto dell’invecchiamento degli imprenditori e di un ricambio generazionale complesso, ma anche di un valore aggiunto che si sviluppa nella filiera alimentare (+14,4% nel periodo in esame) che, evidentemente, non si riflette sugli agricoltori (la crescita nel solo settore agricolo è stata decisamente inferiore, del 3,9%). Al punto che, nei campi, gli occupati sono calati del 7,6%, mentre nell’industria alimentare sono cresciuti dell’1,8%. Cresce però il livello di istruzione, almeno dei titolari di azienda, con i laureati passati dal 4,7% al 6,4% del totale, come il numero dei giovani alla guida delle imprese, con gli under 35 al 7% (ma più 14% tra il 2015 ed il 2017), anche se si resta distanti dai tassi di altre grandi potenze europee, come Francia (22%) e Germania (19%). Italia più avanti del resto d’Europa, invece, sul fronte femminile: nel Belpaese le aziende agricole a guida femminile sono il 20% (sul 18% nel 2005 e sul 13% della media Ue).
A crescere, invece, a livello aziendale, è la dimensione media: da 7,6 ettari nel 2007 a 12,3 (dato 2013), anche se siamo ancora sotto la media Ue (16,1 ettari), e ben lontani dalle dimensioni di competitor come Francia e Germania, dove la media è superiore ai 58 ettari. Stessa dinamica seguita dal valore della produzione, cresciuto nel Belpaese grazie ad un ricorso sempre più massiccio al contoterzismo (+34%) e alla crescente multifunzionalità (il cui valore è stimato in 7 miliardi di euro, +235%, agriturismi in testa) dell’azienda agricola: il valore delle produzione per un’azienda agricola italiana, oggi, è intorno ai 55.000 euro, sui meno di 30.000 di 10 anni fa. Numeri superiori alla media europea (sui 38.000 euro), ma, ancora una volta, ben lontani da Germania (200.000) e Francia (155.000). Ma tra i tanti dati del Rapporto, fa riflettere molto quello sul commercio con l’estero, con l’Italia che si conferma importatore netto di prodotti agricoli. Tra il 2007 ed il 2017, infatti, è si cresciuto l’export, con un balzo del 43%, a 6,6 miliardi di euro, ma di pari passo è aumentato di più l’import, che ha fatto +50%, a 12,7 miliardi di euro, con un saldo negativo arrivato a 6,1 miliardi di euro per il Belpaese.
Un quadro complesso, dunque, e spesso mascherato dai successi dell’intera filiera agroalimentare italiana (che ha toccato il record delle esportazioni nel 2017, superando i 41 miliardi di euro, ndr), e che vede un’agricoltura italiana che cambia, evolve ma che è più fragile di quanto si voglia pensare. Ed il cui futuro passa da sfide, sottolinea il report, rappresentate da nuovi modelli produttivi, volatilità dei prezzi, cambiamento degli stili alimentari, ma anche del clima, rivoluzione digitale, spopolamento delle aree rurali, crescita della popolazione mondiale, scarsità delle risorse naturali e così via che, tra altri 10 anni, probabilmente, ci consegneranno uno scenario assai diverso da quello di oggi.

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