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Negli anni della crisi, tra 2007 e 2014, l’export agroalimentare italiano è cresciuto del 48% sul 10% del manifatturiero, con un valore aggiunto a +5% (sul -12% della manifattura). Ma la redditività è in calo. Così studio Nomisma ad Expo

La crisi del mercato interno, anche sul fronte del wine & food, si combatte con l’export. É un mantra che si ripete da tempo, ma che, nel passare degli anni, trova sempre più conferma nei numeri. Considerando gli anni della crisi, per esempio dal 2007 al 2014, le esportazioni sono cresciute complessivamente del 42% nel comparto agroalimentare e solo del 10% in quello manifatturiero,ed il valore aggiunto nel primo caso è cresciuto del 5%, mentre nel secondo è crollato del -12%. Emerge da uno studio di Nomisma di scena oggi al Padiglione Cibus ad Expo, dove è stato presentanto anche un accordo tra Credit Agricole e Sace, in collaborazione con Fiere di Parma, per favorire le esportazioni delle aziende che espongono nel padiglione, con erogazioni per un massimo di 150 milioni di euro.
Nel complesso, evidenzia lo studio curato dell’Area Agroalimentare di Nomisma diretta da Denis Pantini, nei 7 anni in esame la sola industria alimentare ha visto salire del 48% le esportazioni, a fronte di un rialzo del 4% dei consumi nazionali e del 6% del valore aggiunto. Un settore dinamico, “malato” però di frammentazione, dato che delle 58.000 aziende che lo compongono, l’87,1% sono di piccole dimensioni, con meno di 9 addetti, il 12,7% è di medie dimensioni, fino a 249 addetti, e solo lo 0,2% è di grandi dimensioni. Secondo la ricerca di Nomisma, le grandi imprese vantano una maggiore produttività, con un valore aggiunto di 97.340 euro per addetto, a fronte dei 56.991 euro delle Pmi e dei 21.138 euro delle microimprese, che hanno anche la minor propensione alle esportazioni (7% del fatturato). Le Pmi sono al 23% e le grandi imprese al 26%, con un dato medio italiano del 22%, ben inferiore al 28% della Francia ed al 33% della Germania. Grande è anche il divario della redditività, con un Roe (redditività del capitale) sceso dal 7,1% del 2011 al 6,7% per le grandi imprese, e dal 4,4% al 3% per le Pmi. Su questo fronte, poi, va sottolineato che la media del settore è in calo, dal 4,8 al 4%, mentre nella filiera delle carni il Roe è stato negativo sia nel 2011 (-1,9%) sia nel 2013 (-3,6%). Ancora, nel triennio 2011-2013 è salita tra le microimprese la percentuale di bilanci in rosso, dal 38,5 al 41,7%. Aumento più contenuto per le Pmi (dal 21,5% al 22%) e per le grandi imprese (da 16,2% al 17,1%). La strada obbligata, secondo Pantini, è quella delle aggregazioni.
Una indicazione condivisa da Cesare Ponti, vicepresidente Federalimentare, che ha aggiunto: “l’alimentare entra in crisi dopo gli altri settori, ma è anche l’ultimo a riprendersi. Come Federalimentare bisogna far capire al Governo che quello alimentare è il pilastro dell’economia italiana, perché mette in moto anche il turismo e l’industria dei macchinari”.

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