La movida muove l’economia, anche con un potere d’acquisto limitato come spesso capita ai giovani. Secondo Nielsen, nel 2015 il valore economico del consumo di aperitivi è tornato a crescere (più 2 milioni di euro). L’aperitivo, rileva l’analisi economica, rimane l’occasione di consumo di bevande, alcoliche e analcoliche, che resiste meglio nel macro comparto degli alcolici e che riesce a sviluppare vendite per 210 milioni di euro all’anno (+1,1% sull’anno precedente).
Sempre secondo Nielsen, sono sostanzialmente due i motivi che stanno decretando il successo dell’aperitivo fuori casa: il ridotto potere d’acquisto della fascia giovane di clientela che preferisce spesso sostituire la cena con l’aperitivo, da qui la cosiddetta “apericena”, insieme con la coerenza con il cosiddetto “stile mediterraneo”, vale non lo sballo british-style, ma un approccio all’alcol conviviale e misurato, nel quale il tradizionale companatico ha una parte fondamentale.
La storia dell’aperitivo affonda le sue radici nel V secolo a.C. quando il medico greco Ippocrate scoprì che per alleviare i disturbi di inappetenza dei suoi pazienti, era sufficiente somministrare loro una bevanda dal sapore piuttosto amaro a base di vino bianco, fiori di dittamo, assenzio e ruta. Ancora oggi i principali drink che amiamo bere durante l’ora dell’aperitivo sono prevalentemente bitter, ovvero caratterizzati da un classico retrogusto amaro.
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