Si conferma, anche alla prova dei consumi effettivi, la difficile stagione del vino negli Stati Uniti, primo Paese al mondo sia per import - con 7,3 miliardi di dollari nel 2022 - che per enoappassionati, con 4,5 miliardi di bottiglie stappate: secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, che, per il Vinitaly-International Wine Expo di Chicago ha elaborato i dati sulle vendite nel “fuori casa” (on trade), oltre che in Grande distribuzione e retail (off trade), nei primi 8 mesi 2023, il gap tendenziale dei volumi consumati segna un -7,5%, frutto in particolare delle difficoltà riscontrate in off-trade (-8,3%) solo parzialmente moderate dal risultato nella ristorazione e nei locali (-2,1%).
Dall’analisi dell’Osservatorio, basata sui dati SipSource - che monitora oltre il 75% delle vendite negli esercizi commerciali - emergono molte differenze sui trend di consumo di vino da parte dei consumatori Usa. Per i vini locali, che si confermano nettamente in testa, con il 71% dei consumi totali, la contrazione (-8,2%) è leggermente superiore alla media. Seguono a distanza i vini italiani, che rappresentano il 10,2% della domanda complessiva e il 35% dei vini d’importazione: in questo caso il bicchiere è mezzo pieno, se si considera che la perdita non supera il 3,2% e che nell’on trade - quindi, il canale a maggior valore aggiunto - segna addirittura luce verde (+1,2%).
E se anche i vini cileni contengono l’impasse a un secco -3%, la Nuova Zelanda conferma il proprio crescente gradimento tra i wine lover Usa: +2% il dato evidenziato nei primi 8 mesi, grazie soprattutto all’exploit nella ristorazione (+7,6%), complice un Sauvignon Blanc considerato sempre più trendy nel panorama bianchista Usa. L’abbrivio neozelandese - secondo l’Osservatorio di Unione Italiana Vini (Uiv) e Vinitaly - fa scalare di una posizione l’Australia (-4,9%), e allontana, almeno nelle quantità commercializzate, il market leader a valore - la Francia - in forte difficoltà (-14,5%), sia nell’off-trade (-16,8%) che nell’on-trade (-8,1%).
Inflazione, costo delle materie prime e destoccaggio, secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, stanno mettendo in difficoltà le esportazioni delle imprese italiane verso gli Usa, ma segmentando i dati e guardando ai consumi effettivi in volume, emerge come, alla prova dei consumi, gli americani rinunciano con maggior fatica al made in Italy sia rispetto ai vini a stelle e strisce che a quelli di altri Paesi produttori. In particolare, il canale Horeca nei primi 8 mesi di quest’anno ha visto una presenza tricolore nell’on-trade Usa pari a quasi il 44% del totale dei vini d’importazione, di gran lunga superiore allo share dei prodotti francesi, 13,8%, e neozelandesi, al 10,7%. È in questo contesto che arriva il debutto fieristico di Vinitaly negli Stati Uniti, frutto della collaborazione di Veronafiere con Italian Expo, Camera di Commercio di Chicago e del Midwest e Ice Agenzia, in partnership con “International Wine Expo”, di scena, oggi, a Chicago - centro di una macroarea che riunisce 70 milioni di abitanti e rappresenta 200 milioni di dollari di importazioni di vini italiani - con 200 aziende enoiche del Belpaese. “Il vino italiano, qui, è guidato dalla cultura alimentare, e non c’è cultura alimentare migliore di quella italiana, che è meravigliosa anche grazie al vino italiano”, ha commentato Bill Terlato, ceo Terlato (tra i principali importatori nell’area, con un portfolio di cui fanno aperte brand come Cecchi, Cusumano, Feudi San Gregorio, Nino Franco, Nonino ...).
“Il lavoro di squadra, attivato da tempo con le istituzioni, ci ha dato ragione, e possiamo dire di aver vinto una sfida importante e complessa, di aggregare con il brand Vinitaly tutte le progettualità per creare un forte momento promozionale a favore del settore enologico italiano negli Usa”, ha detto Federico Bricolo, presidente Veronafiere. “Vinitaly Usa 2024 seguirà anche le indicazioni del nascente comitato degli importatori con i quali condivideremo le strategie e i comuni interessi per lo sviluppo del vino italiano. L’obiettivo è rendere ancora più proficuo il rapporto con il mercato che esprime grande attenzione per i vini premium e al contempo cerca sempre nuove proposte. E l’Italia con i suoi 540 vitigni è in grado di offrire una scelta unica nel suo genere al mondo in grado di soddisfare le esigenze del settore horeca, degli importatori e dei distributori”, ha aggiunto l’ad Veronafiere, Maurizio Danese. Matteo Zoppas, presidente Ice Agenzia, ha sottolineato, quindi, come “le fiere sono strategiche per il business matching delle imprese, in particolare delle piccole-medie. E, con Veronafiere e Vinitaly, che si era già mosso in modo accurato su questo mercato, Ice sta valutando insieme ai Ministeri degli Esteri, dell’Agricoltura, ad Assocamerestero, tutti presenti a Chicago, in questi giorni, il progetto per fare di Vinitaly Usa 2024 il principale appuntamento strategico per questo fondamentale mercato”.
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