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“Non solo il cibo, ma anche lo stesso atto del cucinare deve essere sostenibile. Il mio sogno? Trovare l’essenza della cucina vegetale. Tra i piatti italiani? Amo i tajarin e la focaccia”. Lo ha detto, ad Alba, René Redzepi, chef n. 1 al mondo

Non Solo Vino

“Non solo il cibo, ma anche lo stesso atto del cucinare deve essere sostenibile. Cucinare, per me, è salvaguardare il pianeta. Il mio sogno? Trovare l’essenza della cucina vegetale”. “Tra i piatti italiani? Amo i tajarin e la focaccia”. Lo ha detto René Redzepi, lo chef del ristorante Noma di Copenaghen, n. 1 al mondo secondo la “The World’s 50 Best Restaurants”, by S.Pellegrino e Acqua Panna, e organizzata dalla rivista britannica “Restaurant”, da Canale (Alba) dov’è stato ospite dell’Enoteca regionale del Roero. Trentasei anni, due stelle Michelin, già quattro volte miglior chef al mondo. L’Enoteca, guidata dal presidente Luciano Bertello, gli ha consegnato il premio annuale che riserva a chi ama in modo viscerale la sua terra. Così è il giovane chef danese che racconta: “un giorno, una tempesta ci ha costretti in una capanna per tre giorni: è lì che ho deciso che avrei cucinato riscoprendo gli ingredienti della mia terra. È così che cucino con alberi, corteccia di betulla, fiori, muschi, licheni”. Oggi quattro team lavorano per procacciare a René le materie prime naturali, il cosiddetto “forage”. “Uso quasi solo verdura e ingredienti vegetali: la ricchezza di gusti e profumi nel mondo vegetale è grandissima. Da piccolo ho sempre mangiato poca carne perché, a casa mia, gli animali servivano come forza lavoro in agricoltura o per il latte e le uova. Mi è rimasto quel retaggio. Il mio sogno è di fare cucina vegetale totale. Ma il mio progetto è una maratona, non uno sprint”. Sui clienti: “adoro quelli con la mente aperta che entrano al ristorante pensando di fare un’avventura, un viaggio”. Nella cucina del miglior chef al mondo entrano anche gli insetti: “ho visto usare le formiche per la prima volta da Alex Atala - ricorda Redzepi - ero disgustato, non ho voluto neanche assaggiare. Poi in un viaggio in America Latina ho visto che era l’ingrediente principale di tanti piatti. Le formiche costavano come il tartufo. Ho deciso di provare. Masticavo e usciva un forte gusto di citronella. Oggi uso tanto gli insetti ma solo per insaporire i cibi”. E ancora: “anche la zuppa di grilli a vista non è molto bella, ma dopo sei mesi che fermenta, diventa uno straordinario condimento per le verdure. Quando assaggi il piatto, hai la stessa sensazione di quando senti suonare della buona musica”. Il giovane chef danese annuncia che sta lavorando a un progetto sul futuro del cibo con alcuni studenti della scuola di Enogastronomia di Pollenzo: si chiama Deliciousness ed è mangiare gli insetti. “Il mondo cresce e avrà bisogno di più proteine: gli insetti non si possono ignorare. Sono un ottimo cibo”. René ha il suo ideale: “La cena migliore ha sempre un contesto di sostenibilità. È nei semi, nella natura vegetale, nei tempi lunghi che trovo i migliori sapori. Quello che fa la vita bella sono i gusti: senza sapori non c’è allegria, ma anche cucinando dobbiamo salvaguardare il pianeta”. Mai pensato di trasferirsi dalla Danimarca? “Ci penso in ogni inverno di Copenaghen. Ma poi penso anche che le mie migliori idee siano arrivate nel lungo inverno. E allora non mi trasferisco”. Dopo il premio, la cena cucinata con il tre stelle Michelin Enrico Crippa, Davide Palluda e Massimo Camia. Otto mani stellate più un cuore: quello di Gemma, cuciniera di una piccola osteria di Roddino, in Langa. Tra gli ospiti della giornata, la giornalista Monica Larner di “Wine Advocate”, Enzo Vizzari, direttore delle Guide de “l’Espresso”, Fiammetta Fadda, critica enogastronomica, e il produttore Angelo Gaja.

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