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OLIO: DIFFICILE 2009 E 2010 IN SALITA. ECCO I SEGNALI DAL MONDO DELL’OLIO. NEL 2010, L’EXPORT GUADAGNA +0,3%. LO DICE L’ASSITOL

Un 2009 difficile, un 2010 ancora in salita, ma con qualche segnale positivo, anche se è ancora presto per parlare di ripresa. E’ la situazione del settore oleario, descritta dal monitoraggio degli oli d’oliva e di sansa, che Assitol, l’associazione italiana dell’industria olearia, ha presentato a Roma.

Ad aprile, l’intero comparto (extra, oliva, sansa), vede un aumento sul mercato nazionale dello 0,7% (+8,2% nella gdo); in particolare, l’extravergine convenzionale cresce di quasi il 7%; continua, invece, il ribasso dell’olio d’oliva (-18,9), in calo anche il sansa (-21%); in crescita invece l’olio a denominazione italiana, seppure su volumi minimi. Nessuna novità di rilievo per l’export, dove il comparto guadagna un +0,3%. Qui a perdere sono l’oliva (-8%), il biologico (-65%), il 100% italiano (-14,5%). A guadagnare è soprattutto l’olio convenzionale - quasi il 9% - e anche le Dop/Igp.

Se si osserva il dato dall’inizio della campagna olearia su quella precedente, queste piccole note positive si affievoliscono: il calo delle vendite interne è pari all’8,3% (-9,3 per l’export). L’onda lunga della crisi economica continua a persistere. Sull’export, pesa inoltre un ulteriore elemento di difficoltà, già denunciato dall’associazione: la progressiva perdita di competitività nei confronti di una concorrenza straniera sempre più forte, capace di aggredire il prodotto italiano su più fronti.

Puntare sull’appeal del “made in Italy”, come mostrano gli stessi risultati del Monitoraggio, non si è rivelato vincente. In tal senso, va sottolineato come, a distanza di quasi un anno dall’entrata in vigore, il Regolamento Ue sull’etichettatura d’origine non ha apportato il valore aggiunto auspicato dagli operatori. In particolare, il decreto ministeriale del 10 novembre 2009, emanato nonostante l’immediata applicabilità del Regolamento, ha introdotto una serie di obblighi burocratici sui libri di carico e scarico e sulla trasmissione telematiche dei dati, che hanno reso più onerosa l’attività delle imprese.

Al contrario, i confezionatori spagnoli, nostri tradizionali concorrenti, ma anche quelli emergenti, come il Cile, l’Australia e la Tunisia, hanno visto crescere i volumi delle esportazioni puntando su politiche di promozione e su prezzi concorrenziali, senza il peso della burocrazia e di “guerre” di filiera. Un esempio è quello della Spagna che, nei primi mesi 2010, ha visto crescere il settore del confezionamento del 6%, con l’export in aumento del 18% in più sul 2009.

Un altro caso che fa riflettere riguarda le importazioni di olio negli Stati Uniti che, finora, avevano visto la netta preponderanza italiana. Nel periodo 2003-2009, secondo i dati di Bruxelles, l’import statunitense ha superato le 250.000 tonnellate, grazie all’apporto non soltanto di Italia e Spagna, ma dei Paesi emergenti. Non a caso, la quota di mercato italiana negli Usa è scesa al 56% (era al 63% nel 2003), mentre proprio la Tunisia ha conquistato il 16%, con una crescita nel 2009 di 35.000 tonnellate di prodotto esportato in America.

Un vero e proprio boom, che sorprende ancor di più se si pensa che l’industria tunisina non può contare sulla rete di distribuzione e sui rapporti commerciali che soprattutto le aziende italiane hanno costruito in decenni di lavoro sul campo.

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