Non solo vino: sono sempre di più le cantine italiane che tornano ad abbracciare una filosofia di azienda agricola integrata, affiancando al proprio core business altre referenze, nel segno della biodiversità. E se in tantissimi casi, da tempo, alla produzione di vino, in molte cantine è affiancata quella dell’olio extravergine di oliva, dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Toscana, si fa strada una strategia che punta sulla diversificazione, segnando un passo indietro rispetto alla specializzazione spinta che ha contraddistinto l’agricoltura degli ultimi decenni e che, se in moltissimi casi ha permesso ai territori di prosperare da un punto di vista economico, dall’altro ha impoverito la biodiversità: quella che oggi si cerca, in maniera virtuosa, di recuperare. L’ultimo esempio, in ordine di tempo, di azienda che sta allargando il proprio core business è quello dei Frescobaldi - una delle famiglie più note e prestigiose del made in Italy - che, dopo i vini, conosciuti ed esportati in tutto il mondo, e l’olio (il Laudemio, extra vergine di altissima qualità) è pronta a mettere in tavola anche la pasta: si chiamerà Tirrena e verrà prodotta con grani antichi (varietà Senatore Cappelli, Khorasan ed Evoldur) coltivati in terreni di proprietà dell’azienda, a sud-ovest di Firenze. Quello della pasta è uno dei settori più “caldi”: tradizionalmente considerato maturo, negli ultimi anni si sta muovendo verso nuove nicchie di mercato che, accanto al segmento salutistico, vedono crescere anche quello premium. Sarà questo il caso della pasta Tirrena by Frescobaldi, che sarà prodotta dallo storico Pastificio Artigiano Fabbri del Chianti in sei formati (spaghetti, fusilli, penne, tortiglioni, linguine e casarecce) e verrà distribuita solo in gastronomie e negozi specializzati, oltre ovviamente ai ristoranti Frescobaldi, testando inizialmente il mercato italiano, per poi andare all’estero, prima in Europa e poi, entro fine anno, anche in America.Sempre sulla pasta punta Podere Forte, azienda fondata da Pasquale Forte che in Val d’Orcia produce non solo vini di alto lignaggio, che in pochi anni sono arrivati ai vertici di tutte le guide, ma si avvale di una produzione integrata biologica che comprende grani antichi Senatore Cappelli per la pasta artigianale, un allevamento di maiali di Cinta Senese destinati alla produzione di salumi (dal guanciale alla pancetta, dal salame gentile al culatello), miele e olio extravergine. E se in molti territori d’Italia una delle sinergie storiche e più comuni della produzione di vino è quella dell’olio, che viene prodotto da numerose cantine, ci sono anche aziende e territori che stanno riscoprendo e valorizzando cereali antichi, formaggi, zafferano, miele e frutta. Tra le case history territoriali c’è quella del Chianti Classico, dove oltre al vino e all’olio si è costituito negli anni un vero e proprio Distretto Rurale del Chianti, in cui viene valorizzata anche la produzione di formaggio pecorino, pane toscano, carne di Cinta Senese, salumi come la Finocchiona Igp, prodotti dolciari come il Panforte e i Ricciarelli di Siena. Altra case history che arriva da un territorio del vino noto a livello mondiale, ma che sta guardando anche ad un ritorno all’agricoltura - che oltre a generare lavoro e ricchezza può mettere in moto ulteriormente l’enoturismo - è quella di Montalcino, terra del Brunello, dove produzioni che vanno dal tartufo bianco all’olio, dal miele allo zafferano, dal formaggio alle prugne, dalla pasta al farro, a breve potranno fregiarsi in etichetta della dicitura “Eccellenze di Montalcino”, il marchio registrato dalla Fondazione Territoriale del Brunello, emanazione socio-culturale del Consorzio del Brunello, nata nel 2016, con la volontà di reinvestire parte dei profitti a beneficio del territorio.
A Montalcino, tra le altre, spicca il caso di Castello Banfi, una delle aziende leader e più grandi del territorio del Brunello (2.400 ettari di terra), che ha intrapreso, da tempo, anche un percorso di diversificazione, puntando sulla biodiversità agricola. Tra le altre cose - grani antichi locali di alta qualità, pasta, olio extravergine e miele - è anche uno dei maggiori produttori italiani di prugne, in particolare della varietà Ace (Banfi è anche socio di maggioranza della Monte Rè, cooperativa modenese che si occupa dell’impacchettamento). A Montalcino si compie l’intero processo produttivo, dalla coltivazione all’essiccamento, in quattro forni creati ad hoc, in un iter che unisce lavoro artigianale e alta tecnologia. Sempre a Montalcino la Fattoria dei Barbi, storico produttore di Brunello, vanta un caseificio nato nella seconda metà dell’Ottocento - la più antica attività di produzione di formaggi esistente nel territorio - tuttora in piena attività e vincitore di numerosi riconoscimenti con i suoi pecorini, che comprendono una vasta gamma di tipologie tra cui spiccano quello “ubriaco”, con infiltrazioni di Sangiovese, oltre alle varietà con zafferano e pepe nero, recupero di antiche ricette del territorio (proprio nel 2022 il “Cacio all’aglione” di Fattoria dei Barbi si è aggiudicato il prestigioso premio internazionale World Cheese Award). Rimanendo in Toscana troviamo la storica cantina della Vernaccia di San Gimignano Guicciardini Strozzi, che ospita uno dei più grandi allevamenti di fagiani d’Italia, e il Castello del Terriccio, una delle più grandi aziende agricole in corpo unico del Belpaese, più di 1.500 ettari nelle colline pisane, dove alla produzione di grandi vini si affianca l’allevamento di cavalli e bovini da carne.
Nelle Langhe, uno dei territori più blasonati del vino italiano, alcuni grandi produttori, spinti anche dalla crescita dell’industria dolciaria, in particolare della Ferrero, sono tornati a piantare noccioleti, coltura storica del territorio, come ha fatto, per esempio, Ceretto, uno dei nomi più importanti. C’è poi chi, nella stessa zona, investe sul formaggio: come Elio Altare, prestigioso brand del Barolo che è anche produttore di Castelmagno. O come il Caseificio Des Martin, progetto costituito da una cordata in cui ci sono anche importanti produttori di vino (nomi come Enzo e Gianni Boglietti, Chiara Boschis, Cesare Boschis, Claudio Conterno ed Enrico Cordero di Montezemolo), che negli anni scorsi hanno investito per il recupero dell’antica produzione del Castelmagno d’Alpeggio.
Tra le sinergie più avanzate tra “agricolture” c’è quella della Valtellina, concretizzato nel Distretto Valtellina Che Gusto, che riunisce sotto un solo cappello i vini Dop e Igp del territorio e produzioni certificate come pizzoccheri, mele, bresaola e formaggi come Bitto e Casera, in un percorso simile a quello fatto in Alto Adige con vino, formaggi, salumi e mele. Nelle Marche l’azienda LucidiMezzoproduce, insieme al vino, anche pasta, legumi antichi come ceci, cicerchie e lenticchie, oltre a farro e nocciole. In Sicilia Arianna Occhipinti, giovane e affermata produttrice nota per le sue etichette di vini bio, nella tenuta cura anche alberi da frutto (peri, aranci, mandarini e cedri) dai quali si ricavano marmellate e confetture, e si coltiva un’antica varietà di grano, la Tumminia, per la produzione di farina, pasta e biscotti. Solo solo alcuni esempi, a cui se ne potrebbero aggiungere innumerevoli altri se si prendessero in considerazione le cantine che, per la propria ospitalità e ristorazione interna, curano orti e frutteti o producono piccole quantità di salumi, formaggi ed altri prodotti, ma ancora più per autoconsumo che per il mercato. La cui dimensione, per il nuovo sviluppo o per il recupero di filiere agricole diverse, ma ancorate a quella del vino, resta imprescindibile. Eppure, al di là di esperienze che, nel complesso, restano ancora pionieristiche, la strada per il futuro sembra tracciata. Un percorso che in un certo senso segna anche un ritorno al passato, quando le tenute agricole si muovevano nel segno della biodiversità e comprendevano una vasta gamma di produzioni.
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