Tanto lavoro, tante battaglie, per ritrovarsi con in mano un pungo di mosche. Il riferimento è alle leggi, chieste a gran voce dal mondo agricolo italiano, e varate dal Governo dietro la regia del Ministero delle Politiche Agricole, sull’etichettatura di pasta, riso, latte e pomodoro che, a pochi giorni dall’entrata in vigore, rischiano già il pensionamento anticipato. La Commissione Europea, infatti, a quattro anni dal regolamento 1169/2011, entrato in vigore nel dicembre 2013 sembra finalmente pronta a varare il testo definitivo sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari che, ovviamente, scavalcherebbe qualsiasi altro regolamento nazionale. Il testo è pronto, la Commissione l’ha sottoposto ad una consultazione pubblica, a febbraio si dovrebbe chiudere e dopo poche settimane potrebbe già entrare in vigore, per venire applicato dall’aprile 2019: in quel momento, tutti i decreti introdotti in Italia dal 2017, decadranno.
Ma cosa cambierà? Intanto si parla di “ingrediente primario”, la cui origine dovrà essere indicata obbligatoriamente se diversa dal prodotto finito: ad esempio, un pacco di pasta prodotto Italia da grano russo, dovrà riportare l’origine del grano, e questo vale per ogni tipo di alimento. A prima vista, quindi, una legge simile a quella italiana, tanto che la Coldiretti, che più di ogni altra organizzazione della filiera agricola del Belpaese ha spinto per l’introduzione dell’origine in etichetta, ha visto il passo della Ue come una conseguenza delle battaglie portate dall’Italia, considerata “un’apripista nelle politiche per la trasparenza delle informazioni ai consumatori con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti”. Certo, è la stessa Coldiretti a metter ein guardia da entusiasmi eccessivi, ricordando come adesso ci sia bisogno di “ vigilare affinché la normativa comunitaria risponda realmente agli interessi dei consumatori e non alle pressioni esercitate dalle lobbies del falso made in italy prodotto in Italia”.
In effetti, la bozza di Bruxelles, come scrive oggi il quotidiano “La Repubblica” (www.repubblica.it), va oltre. L’obbligo, infatti, non varrà per le indicazioni geografiche protette Dop e Igp, normate comunque da disciplinari piuttosto rigidi, e comunque chiari, in questo senso, ma, aspetto assai più importante, non si applicherà ai marchi registrati che, a parole o con segnali grafici, indicano già di per sé la provenienza del prodotto. Ed è qui che nascono i dubbi, perché l’interpretazione, finché la bozza non diventerà legge, rischia di spalancare le porte all’italian sounding: in sostanza basterà avere un marchio registrato con una bandiera tricolore o un richiamo al nostro Paese per essere esentati dall’obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente principale, che molto spesso l’Italia non l’ha mai vista. Vedremo, intanto c’è da registrare la difesa della norma su marchi registrati di Federalimentare, sostenendo che “vietare ad aziende italiane di utilizzare propri brand registrati, in alcuni casi, centinaia di anni fa contenenti i colori della bandiera italiana appare francamente ingiustificato ed inutile”. Comunque, come ricorda il presidente Luigi Scordamaglia, “l’esenzione sarà solo temporanea “ed è dovuta al fatto che esiste una normativa europea sul trademark, includerli adesso avrebbe comportato un ulteriore allungamento dei tempi”. Per le aziende, di sicuro, si tratta di altri costi da sostenere, ma anche di una vittoria parziale, stranamente condivisa con il mondo agricolo, o comunque con la sua organizzazione più battagliera, la Coldiretti, in attesa, comunque, di vedere il regolamento definitivo della Ue.
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