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ORO, ARGENTO E VERDE: IL MITO DELL’OLIVO E DELLA “CITTÀ IDEALE”

Extravergine Italia
Foto Di Pietro

Tutti ormai sanno che l’olivo è l’albero più altamente simbolico della regione mediterranea. Gli innumerevoli miti e leggende di cui è protagonista ne confermano la sua “origine divina”. Testimone nobile della mitologia, della storia e della letteratura, esso seguì l’espansione delle antiche civiltà Fenicia, Ellenica, Etrusca e Romana. L’olivo originariamente nacque però nelle zone tra il Pamir e il Turkestan e si propagò successivamente nell’Armenia; in generale, quindi, seguì un cammino temporale dall’oriente all’occidente, entro il bacino del Mediterraneo. Di certo la sua fama mai si oscurò nelle civiltà classiche. L’episodio più noto della mitologia greca, tanto famoso da essere scolpito sul frontone del Partenone, è quello della gara fra Atena e Poseidone; in palio il possesso della città d’Atene e di tutta l’Attica. Vincitore, giudice Zeus, chi avesse prodotto il prodigio migliore (più utile). Poseidone, il Dio degli oceani, fece sbucare dalla foresta un nuovo animale: uno stupendo cavallo; Atena fece nascere dalle viscere della terra un nuovo albero: l’olivo. Zeus non ebbe dubbi: il cavallo era per la guerra, l’olivo per la pace; vinse Atena. La prima regione italica a ricevere l’albero sacro fu certamente la Sicilia; lo conferma il mito di Aristeo figlio di Apollo e di Cirene. Secondo il mito Aristeo insegnò ai Greci il segreto per ricavare l’olio dagli olivi; dopo di che si recò in Sicilia dove introdusse la coltivazione degli olivi diventando anche qui una venerata divinità. Gli Etruschi coltivarono l’olivo prima dei Romani, ma di certo questi ultimi lo propagarono in modo sistematico e razionale tanto che alla fine della Repubblica e al principio dell’Impero, l’olivo aveva raggiunto tutte le sedi attuali non solo in Italia, ma appunto anche in Francia, Spagna, Portogallo. Secondo i più famosi studiosi romani dell’epoca, esistevano dieci diverse varietà di olivi e cinque diverse categorie di olio:
oleum ex albis ulivis (il più pregiato) ottenuto da olive verde-chiaro;
viride ottenuto da olive che iniziano ad annerire;
maturum ottenuto da olive mature;
caducum ottenuto da olive raccolte a terra;
cibarium ottenuto da olive bacate e destinato solo agli schiavi.
Con la caduta dell’Impero e in seguito alle invasioni barbariche la pratica colturale dell’olivo quasi scomparve. Nel Medioevo i pochi e ridotti oliveti coltivati si trovavano solo in alcuni conventi e nei feudi fortificati. Furono, appunto, i monasteri a ricreare più tardi oliveti di grandi dimensioni ed a ridiffondere il commercio dell’olio che raggiunse il culmine durante il Rinascimento. Il mito della “città ideale” trova la sua massima espressione proprio nel passaggio che contorna, le armoniche architetture rinascimentali, con gli olivi. Ed è in questo contesto che l’olivo raggiunse forse il suo “sublime scopo”; fondersi con un altro mito, quello della “città ideale” per dare origine alla più grande e concreta utopia: quella della qualità della vita. Dopo un momento di crisi intorno al 1600 dovuto alla dominazione spagnola che aumentò le tasse sulla produzione dell’olio la produzione riprese a crescere nel 1700 grazie allo sviluppo del libero mercato e all’esenzione di tasse sugli uliveti. Da allora, gelate permettendo il commercio dell’olio, specialmente italiano, si diffuse anche nel nord Europa, mentre gli oliveti si potenziarono in tutti i paesi mediterranei.


Oggi infine stiamo vivendo, forse, addirittura un nuovo Rinascimento. La “cultura dell’olio” si sta nuovamente proponendo con quella della qualità della vita, ossia del ritorno, ai ritmi e ai tenori armonici, nelle piccole “città ideali”. L’olio e il paesaggio umbro sono una conferma di ciò.

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