Affitti alti e spese di gestione spingono i negozianti ad abbassare le saracinesche, mentre spopolano gli acquisti online e le attività ambulanti: ne spunta una ogni 24 ore. Ecco il quadro che emerge da un’analisi dell’Osservatorio Confesercenti sulle attività commerciali e turistiche. Il commercio delle bancarelle, dei furgoni e dello street food, di prodotti vari, dalle crêpes alla cosmesi, è la forma di business che tira di più: nel 2015 hanno aperto 9.705 attività. Al secondo posto ci sono i ristoranti (8.627) e al terzo spuntano i bar (7.557). Seguono i negozi di moda (3.860) e gli ambulanti specializzati in abbigliamento e calzature (3.850). L’e-commerce è al sesto posto (2.573), poi ci sono i mini market (2.272), i banchi di prodotti alimentari e bevande (1.518), le cartolerie e i giornalai (1.359). Il decimo posto della classifica riguarda le vendite porta a porta e i distributori automatici (1.295).
“Il caro affitti e l’incremento di imposte e tariffe - spiega, al magazine “Wired”, Mauro Bussoni, segretario generale Confesercenti - spingono il commercio e il turismo fuori dai negozi, verso la strada e il web. E stanno ridisegnando i contorni delle nostre città, in particolare dei centri storici, dove i negozi continuano a diminuire, sostituiti solo parzialmente da pubblici esercizi e bancarelle. I dati delle imprese del 2015 dimostrano, ancora una volta, l’avanzamento del livello di desertificazione delle attività commerciali e turistiche nei nostri centri urbani. Secondo i nostri calcoli, un locale su quattro in Italia è ormai sfitto per mancanza d’impresa: per questo abbiamo proposto, tra le altre cose, misure di contrasto al caro affitti attraverso la possibilità di canoni concordati e cedolare secca anche per le locazioni commerciali”.
Dallo studio emerge, in sostanza, il primato delle imprese erranti rispetto a quelle stanziali. Ma la percentuale di crescita maggiore è quella dei negozi online: 16 nuove imprese ogni 100 già attive (16%). Segue il commercio su strada di prodotti vari (15,5%), mentre lo street food cresce del 10,7%, più del doppio del 4,4% dei ristoranti e dei bar. Entrano nella classifica anche i negozi alimentari (9,9%), il catering per eventi (7,7%) le attività di vendita porta a porta e attraverso distributori automatici (8,5%) e, a pari merito, negozi di telefonia e dell’usato (7,2%). Concludono la graduatoria i negozi di ortofrutta (6,6%), i campeggi e le case vacanze (6,5%).
Per la Coldiretti, il 2016 è stato invece l’anno record dello street food, con una crescita del 13% sul 2015 e ben 2.271 imprese impegnate nel settore. La Lombardia, con 288 realtà, e un incremento annuo del 26%, è la regione italiana dove la ristorazione ambulante è sempre più presente, ma sul podio salgono anche la Puglia (271) e il Lazio (237). Una diffusione consistente si ha anche in Sicilia (201), Campania (189), Piemonte (187), Veneto (161) e Toscana (142).
Dagli alimentari alle farmacie, dai giocattoli alle librerie, tra il 2008 e il 2016, secondo Confcommercio, molte attività tradizionali hanno chiuso i battenti. In particolare, nei centri storici di 40 città italiane, il calo percentuale è di -11,1 e -9,8 nelle aree adiacenti, negli otto anni presi in esame. Nei dodici mesi dello scorso anno, le vendite sono stabili (+0,1% rispetto al 2015) perché aumentano le grandi imprese (+1,2% per quelle da 6 a 49 addetti e +0,9 per quelle con almeno 50 addetti). Chiudono, purtroppo, i piccoli esercizi commerciali (-1,8%).
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